Benvenuti nel mio blog personale. Buon 2012.

giovedì 29 dicembre 2011

La bomba e la Gina. L'ultimo libro di Marco Codebò.

La bomba e la Gina, Intorno a Piazza Fontana, è il libro che mi è stato recapitato ieri in Osservatorio Turismo Asslib, a Feltre. Con Marco Codebò, l'autore, ci si era conosciuti nel 1975, quando era alla Caserma Santa Barbara di Piazzale Perrucchetti, a Milano. Con la mia lambretta, quasi ogni giorno, per un periodo, andavo fuori dalla caserma a diffondere il volantino prodotto di fresco. Quando giunse notizia del suo improvviso e forzato trasferimento, un pomeriggio, nel giro di un paio d'ore fui in piazza con un gruppone di protestatari, un centinaio, con altrettanta presenza di polizia in assetto a difesa della Santa Barbara. Come se volessimo attaccare la caserma.  Ci siamo ritrovati, con Marco, pochi giorni fa, su facebook. A qualcosa serve anche quello.

domenica 18 dicembre 2011

AIUTO. 2011 DA BARBA... 2012 DA BARBONE. DEVO SALVARMI. (Regola delle Tre Enne in applicazione urgente.).

Pesante, il 2011. Da sprofondamento, il 2012. Per salvarmi devo applicare la regola delle tre enne: nomade, nullafacente, nullatenente. Percorso lungo e difficile. Ma sono sulla buona strada.
A, come automobile – Niente auto, per liquidare costi e ricatti. Basta tasse, assicurazioni, carburanti, meccanici e carrozzieri, gommisti, parcheggi, multe, obblighi e divieti, mal di schiena e mal di gambe, culo di piombo.
B, come banche – Non mi hanno aiutato. Non mi hanno sostenuto nel lavoro. Sono stato molestato e minacciato quando andavo in rosso. È l'anno giusto per fare i conti. Chiudendoli. No debiti, no spese.
C, come casa – Oggi qua, domani là. In affitto. Magari ospite, con spese da condividere. Nessuna proprietà. No casa, no padrone, no lacrime.
D, come diritto – Da cittadino ho diritto di esistere. Di non essere perseguitato. Di non essere raggiungibile. Di non dare risposte a chi si inventa, ogni giorno, nuovi doveri. Tutti a senso unico, nei confronti di chi comanda.
E, come educazione – Se io sono educato con te, tu, non prendermi a calci nei denti. Se no mi incazzo.
F, come federalismo – Toglietemi di torno anche il termine, che vivo meglio. Via tutto, province, comunità montane, enti vari, comuni da duecento abitanti... E il mio stato, non coincide, per forza, con lo Stato italiano. Il mondo è più grande di un orizzonte limitato, confinato, definito.
G, come guerra – Non sono e non voglio essere in guerra. Con niente e con nessuno. Non sarò né assoldato né soldato. Libero di comunicare, parlare, girare. In pace.
H, come ospedale – Quando c'è la salute c'è tutto. Devo evitare di ammalarmi, che se mi ammalo, per curarmi, mi cacciano in un guaio ancora più grosso.
I, come inoccupato – Se ho la partita IVA e non lavoro, perché devo essere inoccupato? Sarò disoccupato, iscritto nelle liste dei Centri per l'Impiego. Così anche l'Istat non potrà far finta di niente, dicendo che sono precario, benestante o che...
L, come libertà – Grande, immensa, irraggiungibile, utopica?. Meglio non aver niente ed essere liberi. Che avere tanto ed essere schiavi.
M, come mezzi pubblici – Per gli spostamenti, userò i mezzi pubblici. Quelli che costano meno. Dove passo inosservato e posso pensare ai fatti miei.
N, come negozi – In un mondo di ladri, anche i negozi non meritano attenzione. Che resti aperto un forno, per il pane. Qualche posto che dia da mangiare. Il resto, può anche chiudere. Per beni e prodotti bastano agricoltori e artigiani. Mi hanno consumato, con la società dei consumi, per cui io sarei un consumatore, con trecento sindacati e associazioni di consumatori. No consumo, no problemi.
O, come odissea – Mi fan vivere come Ulisse, sbattuto dappertutto, in balìa di cinquanta Dei che comandano e dei loro capricci, di mostri, maghi e streghe. Meglio vivere mediamente nascosti. Che visibilmente eroi. No coinvolto, no collaborante.
P, come pedone – A piedi. Costo zero. Per riprendere l'uso delle gambe, del corpo, della mente. A piedi, trenta chilometri al giorno, come i Romani. Al massimo, posso concedermi una bicicletta.
Q, come questua – Potrei ridurmi, così, a chiedere la carità? Certo ci sono quelli che stanno meglio di me. Ma anche quelli che stanno peggio. Poveri, deboli, malati. Meglio allora lavorare gratis per loro, per un sorriso. Che chiedere la carità agli stessi ricchi e benestanti che, alla carità, ti ci hanno portato.
R, come risorsa – La risorsa sono io. Del resto non me ne frega niente: petrolio, oro, diamanti, gas. Basta che non mi tocchino l'acqua. Che son fatto, di acqua. E se mi manca, muoio.
S, come stipendio – E chi lo conosce... Forse è meglio parlare di scambio, per sopravvivere. Coniugare il verbo dare, più che avere e prendere.
T, come tasse – Per evitare le tasse devo evitare i debiti. Per evitare i debiti devo evitare i consumi. Per evitare i consumi devo vivere semplicemente. Così evito Agenzia delle Entrate, Stato, Sanzioni...
U, come umiltà – Tutti grandi, tutti bravi, tutti ricchi. Se tutti fossimo un po' più umili, si vivrebbe diversamente, dignitosamente.
V, come votare – No no. Non ti voto non ti voto. Non si vota non si vota. Arrangiatevi, politici e pseudo, con le elezioni a vostra misura. Isolato io? Si vedrà. Alla fine. Chi resta isolato. Chi è il barbone che sarà emarginato.
Z, come zero – Zero reddito. Zero soldi. Zero Tasse. Toh, arriva il 2013. E sono sopravvissuto. Meglio zero, che mal accompagnato.

Il servizio fotografico del 16.12.2011, Lele-barba-barbone, è di Francesco Polli Taborgna, otto anni, terza elementare. La barba è stata tagliata subito dopo le riprese. Che si può essere barboni anche da sbarbati.


Per un buon 2012, possiamo cantare Pietre di Antoine, Festival di Sanremo 1967:
Tu sei buono e ti tirano le pietre
sei cattivo e ti tirano le pietre
qualunque cosa fai
dovunque te ne vai
tu sempre pietre in faccia prenderai
Tu sei ricco e ti tirano le pietre
non sei ricco e ti tirano le pietre
al mondo non c'è mai
qualcosa che gli va
e pietre prenderai senza pietà
E sarà così finchè vivrai
sarà così...
(strumentale)
Se lavori ti tirano le pietre
non fai niente e ti tirano le pietre
il giorno che vorrai
difenderti, vedrai
che solo pietre in faccia prenderai
Se sei bianco ti tirano le pietre
se sei nero ti tirano le pietre
al mondo non c'è mai
qualcosa che gli va
e pietre prenderai senza pietà
e sarà così finchè vivrai
e sarà così...
(strumentale) 


*testo da www.canzonidelcuore.com

lunedì 12 dicembre 2011

Oggi, 12 dicembre 2011. Scritto, dopo un anno, sul limitato faccialibro. Dedicato a Piazza Fontana e Pino Pinelli, Via Preneste 2, Quartiere San Siro, Milano.



Ricordate? Una strage? Dimenticate? Una strage? Piazza Fontana. Milano 1969.  Errore, STRAGE, di Stato.  Da lì, comincia, la nostra verità. Da lì, la nostra libertà.
Scritto su faccialibro-facebook, oggi, dopo un anno di assenza dal social "limitato" network.


"12 dicembre, Data nel mio DNA. Eccomi, dopo un anno, Per salutare tutti e per abbracciare i Vecchi. Permane il mio scetticismo per gabbie di comunicazione come questa. Cercando libertà, preferisco i blog, aperti no password commenti, che lasciano tempo per pensieri e ricordi. Prima missione, tra le Dolomiti, resta il piccolo Francesco, otto anni. I blog, una novantina, mi impegnano quotidianamente. Forse, un giorno, faranno pensione. Come noto, a partire da noi del 1952, la pensione nemmeno ce la pensiamo. Ciao ciao. 2011 da barba. 2012 da barbone. Buon anno?"


* Seguiranno foto 2011 di barba. 2012 di barbone. (Ancora, una volta, alla sarda, ci/vi hanno fregggattto).
W LE BANCHE E LE ASSICURAZIONI. MONTI, NIPOTE DI SPADOLINI, NAPOLITANO E VARI ALTRI... CHE?

giovedì 8 dicembre 2011

L'ultima decisione: a disposizione dei Missionari Comboniani.

Con uno scambio di mail, è stata offerta e colta la disponibilità a rendermi utile per le attività dei Missionari Comboniani. Noti storicamente per l'intervento in Africa, Nigrizia è la loro rivista. Attenderemo gli sviluppi. Con previsti contatti nelle sedi di Padova/Trento.

martedì 6 dicembre 2011

Si potrebbe andare tutti quanti al mio funerale. Vengo anch'io, no tu no. (Già fatto). Ma andate avanti voi, a Montmartre, che io devo stare con il piccolo Francesco, domenica 27 novembre 2011.


È MANCATO, A 59 ANNI, PER ATTO VOLONTARIO,
DOPO LUNGA INOCCUPAZIONE
GABRIELE MARIA TABORGNA
Lele

MEDAGLIA D'ARGENTO DEL GIORNALISMO ITALIANO.
DEMOCRATICO, MODERNO E RIVOLUZIONARIO.
ARTISTA E CREATORE DI EVENTI.
PER 25 ANNI TRA NOI A FAVORE DI FELTRE
E DELLE DOLOMITI BELLUNESI.

CERIMONIA DI SALUTO,
IN FORMA PRIVATA,
A PARIGI.
DOMENICA 27 NOVEMBRE 2011
Cimitero di Montmartre
(Agencie Autrefois – Paris – F – jeudi, 24 novembre 2011)

E vabbè. Fatta anche questa. Giovedì 24 novembre 2011, sto appeso, per qualche ora, sugli annunci funebri di Piazza Maggiore, Feltre. Per vedere di nascosto l'effetto che fa. Te veuret cus'è, sun de Milan. Jannacci. Fo, Gaber, gent insc'ì. Scherzelloni, che ci si gioca con la vita e anche con la morte. Va' a dar via el cul, va' a ciapa'r i rat, va' a scuar il mar. Gente così, che sa ridere e piangere. Che sa vivere e morire. Qualche copia dell'annuncio firmata per gli amici, al Civico 43 di Via Mezzaterra, che si sa mai che dopo morto davvero un euro ci scappi. E, scusate, ma al cimitero di Montmartre, domenica 27, non potrò esserci perché ho il bambino di otto anni, Francesco, fino a lunedì mattina, 28. Andateci voi, al cimitero. Prima di me. 
E ci metto anche il testo, di vengo anch'io, no tu no. Cantatevela. Ciao, veh.

Vengo anch'io? No, tu no!

Enzo Jannacci
F. Fiorentini - D. Fo - E. Jannacci
(1967)
Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale.
Vengo anch'io. No, tu no.
Per vedere come stanno le bestie feroci
e gridare aiuto, aiuto è scappato il leone,
e vedere di nascosto l'effetto che fa.

Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Ma perché? Perché no!

Si potrebbe andare tutti quanti ora che è primavera.
Vengo anch'io. No, tu no.
Con la bella sottobraccio a parlare d'amore
e scoprire che va sempre a finire che piove
e vedere di nascosto l'effetto che fa.

Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Ma perché? Perché no!

Si potrebbe poi sperare tutti in un mondo migliore.
Vengo anch'io. No, tu no.
Dove ognuno, sì, e' già pronto a tagliarti una mano
un bel mondo sol con l'odio ma senza l'amore
e vedere di nascosto l'effetto che fa.

Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Ma perché? Perché no!

Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale.
Vengo anch'io. No, tu no.
Per vedere se la gente poi piange davvero
e capire che per tutti è una cosa normale
e vedere di nascosto l'effetto che fa.

Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Vengo anch'io. No, tu no.
Ma perché? Perché no!


Testo da Da italianissima.net

Come Mercurio. Con le ali ai piedi. Se ti sparano dietro. 25 marzo 1974. Monza. Festa degli Imbecilli.

E arriva, con marzo 1974, l'atteso processo a Bistecca, Michelin e altri esponenti della destra che tra Sesto San Giovanni, Monza, Desio e Brianza avevano imperversato causando danni, un po' qua, un po' là. Presidio, davanti al Tribunale di Monza, oggi famoso nelle immagini per i procedimenti delle tangenti al Comune di Sesto. Ma qualcosa, non va. Una frangia incontrollata, del servizio d'ordine di Lotta Continua, crea disastri. Svaligiata l'armeria, vicino all'Arengario. Scontri, coinvolgendo giovanissimi degli istituti superiori, in una città che non consente vie di fuga. Festa degli imbecilli. La chiamo. Presi in quasi duecento. Messi nei garage della caserma dei carabinieri. Picchiati, su ordine del colonnello comandante, a saracinesche chiuse. Il milite, giovane, che doveva picchiare me, fa finta di obbedire, incredulo, a quell'ordine. Mi salva il viso, dà un paio di colpi tra costole e schiena, mentre sono supino, a terra. Prima, in piazza, avevo cercato di difendere chi scappava, ragazze e ragazzi, sventolando la bandiera sulla testa degli agenti, per evitare che fermassero chi nulla c'entrava. Uno, agente di polizia, mi insegue e, davanti a Sala Maddalena, mentre scappo, spara. Uno, due, tre colpi. Il tempo di girarmi, vedere l'arma puntata su me e non sul cielo, e, come Mercurio, metto le ali ai piedi, superando record olimpionici di corsa. Che finisce sul Lambro, negli Spalti, dove non si va da nessuna parte. Fu lì, che finii sdraiato sul ponte, mitra puntato alla nuca, con Sergio Segio, amico, fino allora. La Festa degli Imbecilli, quel 25 marzo 1974, finì sulla copertina del settimanale l'Espresso. La frangia incontrollata del servizio d'ordine era una prova per l'imminente Prima Linea. Di lì a poco, nel congresso del '74, esponenti di Sesto San Giovanni usciranno da Lotta Continua. Gli imbecilli, che finiranno farsescamente, dopo numerosi omicidi, con la "consegna delle armi" al Cardinale Martini, hanno determinato arresto (tre mesi) e condanna per Cespuglio, Angelo Brambilla Pisoni, responsabile del servizio d'ordine, presidente della Cooperativa 15 giugno che editava il quotidiano, da me conosciuto quand'era ancora a Bresso/Cinisello, che ho saputo morto, qualche anno fa, nell'Oltrepo pavese, dove si era ritirato. Gli imbecilli, ho scoperto quando sono stato rilasciato dalla caserma dei carabinieri, avevano abbandonato, diciamo in un luogo vicino a Spalto Piodo, sede di Lotta Continua, uno scatolone con una dozzina di bottiglie molotov. Che ho dovuto far sparire. A merito degli imbecilli e della loro festa.

Vedi, interessante, per ricordare quegli anni, dal CUB Pirelli: www.fondazionecipriani.it

venerdì 7 ottobre 2011

L'ultimo golpe. Gennaio 1974. Clandestini e in allarme. Dopo sarà peggio.

Il rientro nella società civile, dopo quindici mesi di militare, dicembre 1973, non è semplice. Prima, servono i denti, che sotto naja puoi togliere ma non curare, se non a tue spese. Con la dentatura rimessa a posto, i soldi erano di papà e mamma, posso rientrare nel mondo. Ripartiamo, per decisione comune in De Cristoforis, da Monza. Gennaio 1974 non ha cambiato, apparentemente, granché, da gennaio 1972. Nel senso dei tentativi di golpe e colpi di stato, di pronunciamenti militari e via così. Sull'organizzazione, molto è cambiato, ma è ancora presto per scoprirlo. Alla fine di gennaio, 1974, mi ritrovo militare. Perché, stanotte, ci sarà un colpo di stato...
Via, per la Brianza, ad organizzare basi e punti. Allestiamo in una cascina di Agrate, vicino alla Star,  l'informazione, con il ciclostile, un unico responsabile. Per non dare nell'occhio. Primo appuntamento, la mattina successiva, per istruzioni, alle ore 8.00, in Piazzale Loreto. (Che se per caso fosse successo, il golpe, mi arrestavano appena arrivato, in Piazzale Loreto...). E, per finire, grande paura. Rientrata. Perché del golpe, frutto di menti malate di quattro militari deviati, Rosa dei Venti, non se ne fece niente. Ma solo perché l'Italia era ancora Italia. E non accettava casini del genere. Quella notte, degli allarmi del gennaio 1974, divenne la notte del milione di italiani, militanti politici, pronti ad opporsi all'ultimo rigurgito golpista. Per la democrazia. Semplice, semplice.

giovedì 6 ottobre 2011

Cerchi lavoro? Ma non sei terrone. Che vuoi fare all'Innocenti, tu, di Milano? (1974)

Abituato ai jeans, a uno spolverino, a una camicia, è difficile presentarsi per cercar lavoro. Trovo pantaloni, normali, maglione della nonna, cappotto, e mi presento all'Innocenti di Lambrate. Ho bisogno di lavorare. Ho bisogno di un lavoro. Militare finito. Di politica non si campa. Visita medica, prelievi, sano, giovane, tutto ok. Penso di essere nel 1974, con la fabbrica che assume, per le macchine, la Austin, la Mini, De Tomaso, chi se ne ricorda...? Tutto bene, visite superate, idoneo, mi portano in reparto, presse, mostrano come escono gli stampi, come fare attenzione, mi presentano ai futuri, colleghi, operai. Che guardano, curiosi, me, ragazzo, di 22 anni. Passa una settimana, niente. Passa un'altra settimana, chiamo in fabbrica, e mi dicono che devo avere ancora un incontro con lo psicologo... Vado dallo psicologo, mi guarda, mi chiede "Ma perché, lei, che non è meridionale, che è di Milano, vuole venire a lavorare all'Innocenti, alle presse...?". Rispondo: "Perché ho bisogno di lavorare, sono senza lavoro...".
Non mi hanno preso, nel reparto presse, dello stabilimento Innocenti di Lambrate. Forse, mi è andata bene, mi sono salvato da un futuro di operaio pressato e stressato. Ma siccome non l'ho deciso io, stronzo lo psicologo, stronzo De Tomaso, stronza l'Innocenti. Che, dopo, ha chiuso. Fine, indegna, ma già segnata, di una fabbrica storica, milanese.
* il cancello (foto) è mio, dove abito, a Feltre, diverso da quello dell'Innocenti.  

mercoledì 5 ottobre 2011

Datemi un salotto. Che ci vomito. (Dada Maino, della mia grande vergogna.1972.)

Mauro, Rostagno, nella primavera 1972 mi dice, a Monza,: "Guarda che arriverà un'artista, che vuole vedere le fabbriche, il lavoro politico, seguila tu.". E come? In motorella? Dove la porto? Insomma, arriva Dada Maino, artista, pittrice. Per fortuna, tutto si risolve con qualche partecipazione alle riunioni in sede, in Via Spalto Piodo a Monza, e,  forse, con una presenza davanti alla mensa Philips. Una sera, per finire, invito a casa di Dada, villetta vicino Viale Zara, Piazzale Lagosta. Penso io, Non portatemi nei salotti... Sono troppo abituato a stare coi piedi per terra... Già il teatro di Dario Fo, alla Comune, mi sembra lontano dal quotidiano... Insomma... Infine... andiamo, con Monza, a casa di Dada. Lei mi porta nel seminterrato, dove disegna, dipinge, figure certosine, puntuali, linee rette e punti che, insieme, danno la dimensione della sua arte. Fin qui, tutto bene, io gentile, attento, cortese. Poi, sopra, nel salotto, mi fanno bere, bevo, vinaccio da bottiglione... A un certo punto, nel salotto, gli occhi mi vanno di traverso... attenti... sto male... Aldo e Cosimo fanno "Noo, aspetta....". Ma io esplodo, come un pozzo petrolifero, e invado tutto quello che mi si presenta di fronte... Ricordo, una dozzina, impegnati a pulire, lo schifo. Qualcuno mi accompagna in bagno, anche se non serve più... Una vergogna così, non l'ho mai più provata.
Quando Milano, a Dada Maino, ha dedicato una mostra, non sono andato. Avevo, nel cuore, ancora quella vergogna.
Oggi, Dada, non c'è più. E anch'io, in parte, manco.

Al "Bianco e Nero". In cerca di lavoro, Corso Venezia/San Babila, Milano 1975.

Fame chiede lavoro. Primavera 1975 decide, per un posto, qualsiasi. Milano, allora, poteva permetterti di lavorare, da un giorno all'altro. Vado, da annuncio, al Bianco e Nero, Corso Venezia, quasi San Babila. Abituato a correre, a non mangiare, a non dormire. Perfetto. Centosessantamilalirealmese. Ok. Facciamo centottanta? Il boss negozio, "Io sono del MSI", prende le mie parti, perché non sa... chi sono. Arriva il Big Stilista Bianco e Nero. "Il ragazzo", dice il boss MSI, chiede centottanta. Il Big Stilista, impomatato, incremato, impostato, incerato, dice... "Se garantisci Tu..., Sì".
Io dico: no. Tre giorni, al Bianco e Nero, mi sono bastati. Perché siamo infinitamente lontani dall'umanità e dalla creatività di Lyda Toppo, dalla semplicità, dalle ragazze che creavano collane, anelli, bracciali, mostrando il meglio di se stesse, mentre lavoravano... Coppola e Toppo, di Via Manzoni e Viale Majno.  Era amore, era sessualità espressa. Era vita. Il Bianco e Nero era, semplice, commercio... la stoffa, particolare, il jeans particolare, la minchia, particolare...
Claudio, controllando e passando, mentre lavoravo al Bianco e Nero, disse, "Vieni via, scrivi per il settimanale ABC, da casa mia.". Milano, primavera 1975, quando i giorni, ancora, duravano mesi.
* Le schifezze di ortensie in giardino sono mie, ma le metto perché non sono Bianco e Nero. 
(Ho anche qualcosa di "bianco e nero").  

Facciamola finita. Pezzi di merda. Feltrinelli, Giangiacomo, da Feltre. Marzo 1972.

Mentre nel 1973 c'è l'oasi del militare, Aviano, Maniago, meningiti, morti. violenze, allarmi, illibertà, nel quotidiano 1972, a pochi giorni dall'11 marzo delle manifestazioni, esplode, su un traliccio di Segrate, l'editore Giangiacomo Feltrinelli. Ma chi ci crede? Certo, Feltrinelli è di sinistra, dei GAP, pensa come tutti alla possibilità di colpi di stato, di golpe. Perché ci sono. Ricco, da salotto, viaggia in camper con trecento milioni in contanti. Mai più ritrovati. Da altre parti, con centomila lire ti facevano secco. Vuoi perdere l'occasione... di un traliccio... a Segrate? Pezzi di merda. Pezzi di merda. Pezzi di merda. Avete ucciso, per potere. Per denaro. Per pensiero infernale, antidemocratico. Avete ucciso, chi potevate, chi ricco ma debole, per uccidere tutta l'Italia, gli Italiani, la libertà, la lotta, l'universo sognante, visibile e invisibile... Avete ucciso.
Caso vuole, mentre scrivo, da Feltre, che i Feltrinelli fossero di Feltre, poi a Bergamo, siamo nella Serenissima, poi a Milano.
Ho incontrato Carlo, il figlio, per caso, quando facevo Il Giro del Mondo in Settanta Giorni, al Cinema Paris di Milano, Moscova/Garibaldi.
Un saluto. Perché di più non faccio.
Ma: non fatemi digerire la morte di Giangiacomo Feltrinelli, da Feltre/Bergamo/Milano, come terrorista. Perché sareste pezzi di merda come i suoi assassini.
* La foto è de "L'albero Incantato", sesta edizione, 2011, Piazza Maggiore, Bonsai Club Feltre.

martedì 27 settembre 2011

Telefonata da Giuseppe. In caserma, insieme, alla Baldassarre di Maniago.

Ieri, ha telefonato Giuseppe. Su internet ha visto che si parlava di Maniago. Eravamo, insieme, nella 5a Compagnia Genio Pionieri, alla Badassarre. Poi, lui di Torino, è andato alla Mirafiori. Ora, lavora a Milano.
Ho detto: racconterò, ancora...
Sono tornato, nelle caserme del Friuli, nel 1975. Facevo da guida a Lidia Ravera, per via del settimanale ABC, dove, grazie a Claudio, curavo la pagina sui militari. Ad ABC, c'era, con Lidia Ravera, Guido Passalacqua, che poi gli spararono alle gambe, quand'era a Repubblica, a casa sua, Brigate Rosse, dicono, ma lui li conosceva, e non comprese il perché. Con Lidia andammo ad Ipplis, caserma Prima Guerra Mondiale, sul confine, paesino, strada sterrata, incontro con militari con scusa visita parenti. Lidia, scrisse, su ABC. Tornai in Friuli nel 1979, il 4 luglio, festa dell'Indipendenza USA. Con Igi, di Udine, andammo ad Aviano, base aperta al pubblico, aerei in esibizione, cronaca scarsa, pance da birra ed hamburger, tutto là. In moto, Transalp, tornai ad Aviano e Maniago, vent'anni dopo. Nel 1993, la nostra palazzina aveva le finestre rotte. Il piantone, all'ingresso, mi guardò come fossi un marziano, che mi presentavo come ex geniere, vent'anni dopo. Ebbe compassione, disse che le cose erano cambiate, ora si era Brigata, c'era sempre l'Artiglieria. Stessa storia ad Aviano, tutto abbandonato, solo una compagnia di avieri, alla Zappalà.  Tornai a Maniago nel 2003, trent'anni dopo. Sorvolai la caserma, passeggiai per la piazza, quella delle rose rosse, cercavo il maestro d'armi Del Tin, in zona artigianale. Mentre altri facevano coltelli e forbici, Del Tin faceva spade e alabarde, corazze, per il cinema, la televisione, le rievocazioni storiche. Con le armi di Del Tin, feci un'esposizione, nella Sala degli Stemmi in Municipio, nel giugno 2003, per la Mostra Regionale dell'Artigianato di Feltre. Per me, oggi, Maniago, Aviano, Barcis, Claut, Montereale Valcellina, Pordenone, Spilinbergo, Sacile... sono luoghi magnifici, da visitare, da passeggiare, da pensare.

* Non ho tempo per cercare le foto di Del Tin, 2003. Metto Walpurgis, domenica 25 settembre 2011, Piazza Maggiore, Feltre.   

martedì 20 settembre 2011

Maniago. Dove il vento si taglia col coltello. (Naja, 1973)

Maniago, Pordenone. Prima c'è Nuovo Vajont. Villaggio, che è già un saluto. Da Barcis, dal lago e dalla valle del Cellina, tira un vento che ti stira. A Maniago fanno coltelli. Oggi, come allora. Averne uno, quando giri l'angolo della palazzina, in caserma, servirebbe per tagliare il gelo di un inverno da dimenticare. Genieri, in un piano, Trasmettitori, sopra. Sanità, nella seconda palazzina. Tutti, serviamo, il battaglione d'artiglieria. Tra l'uno e l'altro, siamo quasi tremila. Il paese è vicino, un paio di km. Non è come Aviano. Il Friuli delle trattorie, servitù militari italiane, è gestito da famiglie, papà, mamma, figlio, figlia. Più umano. Quasi ogni giorno mi chiamano all'altoparlante, ..." il geniere taborgna..." convocato da questo, da quello, dal Capitano della Compagnia. L'enfasi pseudogolpista prevede, solo nella mia Compagnia, decine di Lotta Continua. Uno ha fatto uno sciopero a scuola. L'altro, arriva da Torino. E tanto basta. Un altro, da Savona. Due-tre da Milano. L'ipotesi sovversiva, utile per altri scopi, deve, per esagerare, dare importanza a ragazzi ventenni. Passano i giorni, passa la naja. Dopo cinque mesi, da quando son partito per Palermo, non ho ancora avuto una licenza. Le avrò solo per processi politici. L'avrò, quando passerà la marcia antimilitarista di Pannella e dei Radicali, che aveva l'adesione di Lotta Continua. Allora, mi mandano a Milano. Ma io parto, timbro la licenza, riprendo il treno, torno. Sarò alle tappe di Aviano e Pordenone. In borghese. Un amico di Fucecchio, della Baldassarre, mi lascia le chiavi della moto, Gilera 150, parcheggiata davanti alla caserma. Con quella, e con una ragazza bionda, prestata per confondere e confondermi, sarò ad Aviano. Poi a Pordenone, dove Marco Pannella si sdraia davanti alla Caserma Fiore. Torno a Milano. Riparto per Maniago. Dove un tenente firmaiolo, stronzo, dice: "Ti ho visto in moto con una bella bionda...". "Non ero io, Signor Tenente. Io ero a Milano, in licenza". Sai com'è, si rischiava Peschiera...
Le riunioni, tra militari, le facevamo in parrocchia. Anzi, un paio, in una chiesetta sopra il centro di Maniago. Il capitano Mario Branca, di Palermo, alto e grosso, aveva il suo daffare con un napoletano, alto e grosso, che di naja non voleva saperne e scappava, verso l'uscita della caserma, ad ogni adunata del mattino. E lui, il capitano, dietro, a rincorrerlo. È andata così, per qualche mese. Il napoletano alto e grosso, che scappava, dormiva sopra di me, nella branda a castello. Non mi ha mai dato fastidio, nonostante il peso.
Maniago scorreva, mese dopo mese. Con i giornali, acquistati nell'edicola della piazza, si sapeva del mondo. Campo ad Asiago, sull'altopiano, ghiaccio e freddo, stress, sporco, richiesta/protesta per doccia, trasferimento a Motta di Livenza per lavarci. Campo a Lignano, stress, ponte sul Tagliamento, radio che non funziona, rischio denuncia per difesa siculo ubriaco/malato, Capitano Branca che non molla, mi vuole sempre al suo fianco, mi incarica di suonare la sirena del rancio, delle adunate, delle stronzate... 2 giugno, rose rosse, capitano in ginocchio "Che ho famiglia, tu mi rovini..." io sull'attenti, nel suo ufficio, "Capitano, che fa, si alzi...".
Pur di tenermi lontano dalla caserma, sotto controllo, mi porta con un M113 in mezzo a un campo, tutto il giorno, a far niente. Riuscirà, comunque, a darmi dieci giorni di CPR, non si sa perché. La sua umanità, decide, per il congedo, con me. Va nel Genio Civile. Dopo il trasferimento dei tre Colonnelli comandanti, sembra la strada giusta. Io, resto in caserma, ultimo del mio contingente, a scontare la punizione. Un sottotenente, allenta di qualche giorno, la mia condanna. Mi libera, quasi a Natale, 1973. Torno a Milano. La naja è finita.

venerdì 16 settembre 2011

Aviano, Stati Uniti d'Italia.

Solo una notte, a Motta di Livenza, Treviso, nel Comando Battaglione Genio Pionieri della Divisione Ariete. Il giorno dopo, Caserma Baldassarre, Maniago, Pordenone, per la 5a Compagnia Genio Pionieri. Arrivo, con la mia divisina grigioverde da fante palermitano, e mi vestono con basco nero, fazzoletto nero/viola, colori da morto, per spedirmi ad Aviano, due mesi, corso di radiofonista. Sono un L4, frattura grave, dopo le vertebre rotte in motorella. Ma non gliene frega niente a nessuno, fin dalla visita di leva. Sono nei reparti operativi dei confini nord-est. Caserme senza riscaldamento. Rancio che ghiaccia prima di arrivare a tavola. Ma come L4, non possono mettermi a costruire ponti sul Tagliamento. Quindi, radiofonista. La caserma Zappalà di Aviano ha cinquemila militari, bersaglieri e carristi. Per il paese, ci vogliono cinque km. Che si fanno in camion, come i deportati, per trovare il deserto, camerierine in minigonna, lì per noi, per il piatto di pasta che riusciamo a pagare con la decade della carità. C'è guerra, in Vietnam. Solo una rete, separa la Zappalà dalla base aerea USA. Quando siamo liberi, ci stiamo attaccati, a guardare i Phantom che decollano e atterrano. Sono aggregato ai bersaglieri, palazzina confinante con la pista della base. Giorno e notte è tutto un vvvvvvooooohhhhmmssssss, sibilo/rumore assordante dei reattori che ti entrano nelle orecchie, nel letto, fan tremare muri e pavimenti. Qualche volta, vengo convocato dal Colonnello Comandante. Discorso di rito, noi siam qui, noi  siam qua... Intanto, mi fa sapere che c'è. E convoca solo me. I bersaglieri, corrono. E ormai è inverno. Giù dalla branda, in cortile, con tutina/pigiama, 15 sotto zero, e corri. Papapapa/papapapa, marcette, agli altoparlanti. Freddo bestia. Io, in testa alla compagnia, col mio basco nero tra i fez cremisi, dico: si rallenta, non si corre. E rallentiamo, tutti. Le infermerie son piene, di noi, con bronchiti e broncopolmoniti, quaranta di febbre. Non bastano. Bisogna usare le aule. Ci finisco anch'io, che adesso, penso, muoio, perché nessuno ti caga e ti cura. Ho la compassione di un ragazzo, che mi porta un qualcosa di delicato, da mangiare, dalla mensa sottufficiali. Finita questa storia, torna il mio ascesso pre-naja. Febbre, male, marco visita. Arriva il Colonnello Comandante che decide, lui, chi è sano e chi è malato. Io sono sano. L'ufficiale medico interviene, si oppone, salvandomi.
Questa caserma è da chiudere. Questi colonnelli devono andarsene a casa. Queste Forze Armate devono cambiare. Così, sarà. Gennaio 1973. Sono passati altri due mesi. Torno a Maniago. Me ne restano undici.

*La foto è di Feltre, 2 giugno 2011.

giovedì 15 settembre 2011

Palermo, parentesi europea.

I sessanta giorni trascorsi a Palermo, alla caserma Scianna, furono sufficienti per farmi amare la città. Europea, bella, aperta, intelligente. Ancora, qualche angolo da sistemare. Ma, dal Teatro Politeama, a tutto, era magnifica. Moderna. Ho ancora il ricordo dello spada che, con i pochi soldi della decade, riuscivo ogni tanto a mangiare alla Vucciria. Da lì, Guttuso. Da lì, la lettura e l'ammirazione per Leonardo Sciascia. Dal 1972, non sono più riuscito a rivederla, Palermo.

*Tetti di Palermo, 1985, Renato Guttuso. Da www.guttuso.com

mercoledì 14 settembre 2011

E fu naja. Settembre 1972.

Non passa un mese, dal 17 maggio di Calabresi, che Mauro Rostagno ci saluta. Se ne va. Via da Monza e Brianza, lavoro finito, tutto in piedi, ora fate voi. Dispiacere, occhi lucidi... Mauro va a Palermo, Sicilia. Per il Sud, perché c'è più da fare là, che qua. A luglio, lui e Chicca sono giù.
Settembre. Tocca a me, ora, partire per il servizio militare.
Dove pensate che mi mandino?
Avete indovinato.
Parto per Palermo. In ritardo, sulla data della cartolina, per via..., lo racconto solo in privato. Il ritardo è giustificato da un ascesso mastodontico, faccia destra gonfia, sinistra normale. Certificato medico in tasca, dopo 23 ore di viaggio, in stazione a Palermo c'è la Polizia Militare, ma con quella faccia malata e gonfia non faccio per loro. Arrivo alla Scianna, fanteria, centro addestramento reclute. Quando mi presento all'ingresso, il sottufficiale mi guarda strano... “Lei risulta disertore...”, “Come”, faccio, io, “son qua...”. “Sì, ma dopo tre giorni noi mandiamo i carabinieri...”. Mentre ero in viaggio, i carabinieri si erano presentati dai miei, a Milano, per cercarmi, in quanto disertore. Ok, cominciamo bene. Infine, con certificato medico accettato, mi mandano in camerata e divento militare. Addestramento, scritta, sul fronte destro della caserma, Taci e Obbedisci; col punto esclamativo, che io non uso. Mi mandano, di corvè, in cucina, e scopro che il quarto di carne ha il timbro Argentina 1936. Non c'è acqua. Per farci la barba, se vuoi uscire, usiamo l'aranciata.
Mauro e Chicca sono a Palermo. Bella casa, dalle parti di Mombello. Muri a secco, stradina, ingresso, portico, grande. Partecipo anche a una riunione di redazione, in sede.
Mi metto a rapporto dal Capitano e chiedo di rimanere a Palermo. Che mi piace.
E che, non lo sapevano?...
Quando si va a sparare, sopra i monti, quel capitano ordina il fuoco mentre i segnalatori, militari che riferiscono dei colpi a segno, sono fuori dalla buca. Io, vedo. Non sparo. Altri come me. Ma qualcuno, spara. Poteva scapparci il morto. Anche quando uno butta la bomba a mano troppo vicino... Vabbè.
Finché esco dalla caserma, con i miei della compagnia, per andare alla trattoria di fronte a mangiare una pasta, tutto bene.
Quando ci organizziamo in quattro, con un 'amica che ci viene a prendere in auto, veniamo subito fermati dai carabinieri che ci chiedono che ci facciamo, fermi lì. “Stiamo decidendo dove andare a mangiare...”, rispondo candido.
E che non lo sapevano?
Giorno del Giuramento. Fine. “Guarda che è venuta a prenderti la tua fidanzata”, mi dicono. Fingo, e vedo Chicca, che saluto come la mia fidanzata e.. andiamo...andiamo via.
Che si pensava che si facesse, a Palermo? Il casino? I soldati della rivolta?
Ma va là, quaquaraquà.
Il 23 novembre, la tradotta militare parte per il nord. Tra Palermo e Messina, fanno il bagno. L'ultimo risveglio è vicino Ferrara. Nebbia e freddo. Mi porteranno in una caserma fatiscente, a Motta di Livenza. Nebbia e freddo. Camerata da cento letti. Pronti per fare i nonni e gli scherzi al nuovo arrivato. Basta uno sguardo, il silenzio, e il restare immobile, per distogliere ogni loro prurito.
È appena cominciata. Proseguirà per altri tredici mesi. Ne uscirò indenne.
Quelli che pensano di comandare, no.

Dai, davvero? Ti piacciono i Led Zeppelin? E io sparo lacrimogeni. Milano, Vigorelli, luglio 1971.

Eh, sì. Tempi duri. Finalmente, Led Zeppelin in concerto al Vigorelli, davanti alla Fiera di Milano. Fuori dal velodromo, trecento in attesa di entrare. Dopo un po', trattative, dialogo, persuasione, gli organizzatori aprono e fanno entrare il gruppo, che va a sistemarsi sulle gradinate. Tutto ok. Parte Jimmy Page, batteria, basso, volume, l'acuto di Robert Plant. Tutto ok. Venti minuti di musica e, senza apparente motivo, un reparto della celere carica gli spettatori seduti nell'ala velodromo sinistra palco. Carica? Solo? Ma no, comincia a lanciare lacrimogeni, all'interno.Fuggi fuggi... L'aria tira verso il palco, direzione nord-est. E sono tosse e lacrime, per Robert Plant. Imprecando, prima, in una nuvola di fumo, mandando affanculo, poi, deve interrompere il concerto.
Gli scontri, proseguiranno all'esterno del Vigorelli, fino a tarda notte. Fermi. Arresti. Perché? Anche tra la polizia, da allora e nel giro di qualche anno, ci si pone il quesito. Ma del Capitano Margherito, degli ufficiali di polizia che denunceranno deviazioni interne e daranno vita al Sindacato, ne parleremo...

Prima di Calabresi: 12 dicembre 1971, blindati in Leonardo Da Vinci; 11 marzo 1972, basta divieti, ottomila in piazza; Pasqua 1972, Convegno a Rimini, tutti schedati.

Il 12 dicembre 1971 la Questura vieta i cortei per la strage di Piazza Fontana. Siamo relegati, tipo stadio, in Piazza Leonardo da Vinci, Politecnico e Architettura, Città Studi. Grigio, triste, impotente ricordo della Strage. In più, saltano fuori, da una perquisizione, la sera prima, dai ciucci di Potere Operaio, che nessuno ovviamente conosceva, bottiglie molotov... Apriti, cielo. Divieto assoluto di manifestare, d'ora in avanti. L'avanti finisce l'11 marzo 1972, quando, vuoi o non vuoi, si scende in piazza. Tutti i militanti diventano servizio d'ordine, uomini e donne. Cordoni stretti, su Foro Bonaparte e Castello Sforzesco. Tupa-Tupa-Tupa: Tupamaros. Guai, oggi, a chi ci tocca. Disposti a morire, che lasciare il passo. La compagnia della Celere, in assetto, avanza al centro di Foro Bonaparte verso noi. E noi lì. Avanzano ancora. E noi lì. Tentennano... Parte un casino che durerà fino a tarda notte, con ottomila in Piazza. I divieti vengono tolti. Ok. Ai primi di aprile, Convegno a Rimini. Sulla violenza. Lascio la motorella in Stazione Centrale e via, treno per Rimini. Albergo a Viserbella. Cici-coco, la violenza sì, la violenza no. Si discute, del più e del meno, ma soprattutto delle imminenti elezioni: votiamo Manifesto che ha messo in lista Pietro Valpreda? Questo, il dunque, su cui votare. “Scusate, ma dobbiamo consegnare alla Polizia, qui fuori, le nostre carte di identità...”. Ok. Centocinquanta documenti vengono portati fuori, per le verifiche della Polizia. Adriano, è per il voto al Manifesto e la conseguente elezione/liberazione di Valpreda. Paolo e altri, no: astensione. Io, non ancora ventenne e senza diritto di voto, ai 21 si votava, penso: non me ne frega niente. Importante, per me, era lavorare ogni giorno. Che chi lavora, è già rivoluzionario. Voto per l'astensione. Vince l'astensione. Quando torno a Milano, la motorella, Gilera 124 5 v, non c'è più. Rubata. Lo immaginavo. Non faccio nemmeno denuncia, che io non denuncio niente e nessuno...Tanto, a settembre, parto per militare.  

L' “Affaire Calabresi”. Dopo un duro inverno, una cruda primavera. (1972).

Con la motorella, autunno/inverno '71/72, passo in Via Buschi, vicino Lambrate, a prendere Mauro, per Monza. Ogni giorno un cartello, da scrivere. Il cavalletto, per appenderlo, era nel prato, davanti alla mensa Philips. Buschi-Monza-Cartello-Philips. Un, giorno, mentre aspetto che Mauro si vesta, e saluto Chicca, sono alla finestra di Buschi a vedere un tipo che passa, in strada. Capelli lunghi, neri, barba. Mefisto. “È Ignazio La Russa...”, dice Mauro alle mie spalle, “...abita qui vicino.”. Tanto freddo, con la motorella, per andare a Monza. Mauro si ripara, dietro me. Da Silvia, tra le belle trentine a Milano, capita di recuperare un'Anglia, automobile, grigia. E a Monza ci andiamo con quella. Lavora, lavora. Incontra, incontra. Passa l'inverno e arriva la primavera. Dai genitori di Chicca arriva, nuova fiammante, una Cinquecento aragosta. Gioia. Sul sedile posteriore, quando siamo in giro, andremo anche a Pisa, canto, e canto. Lucio Battisti, che a me piaceva, e anche a loro.
Prove di stampa, marzo '72. “Processo Valpreda”, quotidiano, esce per quattro giorni. Diffusione militante, incontri nelle scuole e dove si può. Ad aprile, uscirà il quotidiano “Lotta continua”. Abbiamo, tanto, da fare. E in autunno, è fissato il processo Calabresi/Lotta Continua. Sarà verità. Su Pino Pinelli e la Strage di Stato.
Il 17 maggio 1972, la nostra primavera finisce:”Il Commissario Luigi Calabresi è stato assassinato davanti alla sua abitazione in Largo Cherubini, Corso Vercelli, Milano”. Disastro. Esserci, non sparire. Presenza. Informare. Esporsi. Qualcuno, dice, che, in qualche posto, hanno brindato. Noi, da Spalto Piodo di Monza, sentivamo un grande peso, preoccupati, quasi offesi. Perché attendevamo il processo. “Chi semina vento, raccoglie tempesta”, giorno dopo. Con il cartello che riprende l'editoriale del quotidiano, mi presento al Mosè Bianchi di Monza, dov'ero stato in assemblea con “Processo Valpreda”. “Vergogna”, dice un signore, un passante. “Di che?”, rispondo io, a testa alta.
Ma è dura. Qualcuno, qualcosa, ha voluto, ancora una volta, cambiare la storia e le carte in tavola. Giocando con la morte.
L'”Affaire Calabresi” comincia qui. Continueremo. Perché risulteremo gli unici, condannati con certezza, quando un'infinità di stragi attendono, ancora, quella certezza. Strano? No.
La nostra, innocenza, è, nella, nostra, vita.
Ma, Mauro Rostagno, è stato ucciso. La sua, e nostra, limpida, verità. È stata uccisa.

*Foto: Arte del Novecento, Belluno, Palazzo Crepadona, 2011.

martedì 13 settembre 2011

Suor Cristina: ...t'è vegnèt un canchèr. Le è venuto. (Fanciullezza Abbandonata, Via Nino Bixio, Milano).

Papà, in Pensione, in Via Tadino, Viale Tunisia, stanza a tre letti. Dopo la Polizia, l'Associazione Mutilati e Invalidi per Servizio gli trova lavoro. È all'Argenteria Broggi, Milano. Mamma cameriera, in Via Serbelloni, dietro Corso Venezia. E io? Dal Veneto, sette anni, mi portano a Milano, in collegio, in attesa di qualche fortuna. “Fanciullezza Abbandonata”, si chiama, Via Nino Bixio. Seconda elementare. Suor Cristina, cattiva come la peste, in cattedra. Spazzolone in mano, dalla parte del manico. Chiama il povero balbuziente, spesso, per interrogarlo... E lui, balbetta... Stock stock stock, che non è il liquore, senti sulle ginocchia e sulle gambe del bambino, con lo spazzolone, parte finale. Capita anche a me. Non so perché, intimorito, certo, non riesco a leggere con lei di fianco, e comincia a sbattermi la testa sul banco, dove c'erano ancora i calamai. Una, due, tre e più volte. Certo, piango. Arriva domenica. Suor Giovanna, la più bella del collegio, mi chiama. Tutta premurosa e gentile, non lo è mai stata, mette una pomata bianca sul nero bluastro che ho in viso, sulla fronte... “Sono venuti papà e mamma, a trovarti...”, bella, dolce e soave, Suor Giovanna... “mi raccomando, sei caduto..., devi dire che sei caduto...”. Mi porta in parlatorio e i miei fanno una faccia strana, vedendo la mia, tutta neroblu. “Cosa è successo?”, dicono, ancora con la suora lì. “Sono caduto...”, ma a mia madre, e a tutti nella vita, non riesco a mentire, scoppio a piangere..., “mi han fatto male...”. Papà Giulio fa un balzo sulla sedia, chiede della Madre Superiora, è un putiferio. Suor Cristina, viene allontanata, morirà di cancro. Al suo posto, arriva Suor Maria Giovanna, minuta, alta come noi, dolce. Vivevano di Stato, Concordato e Benefattori. Quando c'era il funerale, di un Benefattore, uscivamo in divisa, a me in Santa Francesca Romana han fatto portare il labaro, belli e puliti, in dieci/dodici, in fila per due. “Fanciullezza Abbandonata”. Molto commovente. Perché cambiar nome, al collegio? I parenti del Benefattore, morto, diventavano anche loro benefattori. La notte di Natale, sveglia, pantofoline rosse nuove, divisa nuova, giù... in Cappella... ci sono i Benefattori. La mattina di Natale sparivano, pantofoline e tutto. Il pomeriggio, di Natale, si giocava con i regali portati dai genitori e dai Benefattori. La mattina di Santo Stefano, i regali sparivano. Pulire i cessi con la pomice. Dovevamo. Spazzare il cortile, a novembre, che è pieno di foglie. Lo spazzi, esce la suora, “ci sono ancora foglie, pulire.”. È novembre. Le foglie cadono. Quando hai pulito una volta, qualche foglia in più, ci sarà sempre... Pulire i muri, di marmo, del refettorio. David Copperfield di Dickens, quando lo studiai alle medie, non mi fece né caldo né freddo. Già visto... Nel salone della ricreazione, da lì mi abituai a star solo anche in mezzo alla gente, un centinaio di bambini urlanti e giocanti. Io, seduto in mezzo, a leggere il libro, regalo dei miei. Si avvicina Suor Giovanna, la bella. “Cosa leggi?”. “Cuore, di Edmondo De Amicis...”, “Ah, non è un libro adatto..., sarebbe vietato..., chi te l'ha dato?”, “I miei genitori...”. “Ah...”.
Mamma e papà, finalmente, trovarono un piccolo appartamento in Via Moretto da Brescia 27, Città Studi. E mi portarono via. Papà, aveva già segnalato, ai suoi amici in Questura, il fatto. Ne vennero fuori altri. Alla fine, il collegio “Fanciullezza Abbandonata” di Via Nino Bixio, venne chiuso. Maltrattamenti, ruberie? Mah. Mistero. 
Intant: "T'è vegnèt un canchèr, brüt demoni, in maschera da suora...". (Che ti venga un cancro, brutto demonio, mascherato da suora...).

*la foto è dal Museo Civico di Belluno.

In musica. New Trolls e Le Orme. Concerti a Monza.

Stesso periodo, '71/72, Monza in musica. In un capannone dietro Via Milano, concerto dei New Trolls. Scalcagnati come siamo, a soldi, ci presentiamo in una ventina, chiedendo se possono chiudere un occhio sull'ingresso, che ci piacerebbe sentirli. Dal palchetto/pedana, tutto era semplice, arrivano De Scalzi e Di Palo. Quando sanno chi siamo, dicono ok, piccolo obolo, quello che ciascuno può, e ci fanno sedere a terra, davanti a loro. Poi, danno i genovesi come tirchi... Bugie. E Ci volevano bene. Nel capannone, tre/quattrocento, spettatori.
Al parchetto di Villa Reale, estate, ecco Le Orme. Palco piccolo piccolo. Anche lì, pubblico da trecento. Anche lì, ci fanno entrare gratis.
Vittorio De Scalzi, incontrato in un auditorium vicentino nel 2008, con Nico Di Palo, ricordava. E ha raccontato le novità, del libro appena uscito, che sono rimasti un due... 
Aldo Tagliapietra, Le Orme, aveva memoria del piccolo concerto di Monza. Ho avuto modo di frequentarlo, 2007/2008, grazie a Christian, voce di Feltre, in più occasioni. Le Orme, con PFM, e New Trolls, erano rock progressivo, sui Genesis italiani. Grandi successi. Grandi storie. Grandi animi ed umiltà. Musicisti.

*lo scarabocchio, in foto, è colpa mia.

Fame da rivoluzione. Rivoluzione da fame. Come eravamo, 1971-1972.

Settembre 1971, settembre 1972. Cataldo e io, coppia fissa, tempo pieno, Monza. Fabbriche e scuole, piazze strade quartieri. La sede in Spalto Piodo guarda su un Lambro melmoso, grigio, puzzolente. Solo pantegane, da un chilo, riescono ad attraversarlo. Pesci, zero. Pensare che uno slogan, diceva “fascisti carogne, tornate nelle fogne”. Che potevamo dire “venite a trovarci, che noi, nelle fogne, ci siamo già”. Non potevamo, nemmeno, essere pesci nell'acqua, che anche Mao ci avrebbe detto di starne fuori. Comunque, bello. Philips, Simmenthal, Piaggio, Delchi, Singer e altre, le fabbriche. Scuole, tante. Monza centro della Brianza, dodici km da Milano, 180mila abitanti. Bisognava stare là. Mauro butta colore sul muro del capannone e scrive, allora si usava così, una campale “Brianza, svegliati, è l'ora del Comunismo”. Hai voglia, di lavorare...
Cata' è licenziato Autobianchi, in attesa del militare. Io sono disoccupato, in attesa del militare. Siamo liberi, per la Brianza, attendendone il risveglio. Intanto. La rivoluzione non è un pranzo di gala... Ho capito, ma nemmeno morire di fame. E invece, fame, fame. Si aspetta l'uscita della Philips, alle 17, perché Cosimo, Sergio e gli altri, d'abitudine, ci portano un panino con la simmenthal. Si dorme dove si può, dove si deve... In Via Settembrini, Milano, sono le puttane a regalarci cinquecento lire. Intanto si regge, davanti a fabbriche, scuole, quartieri. Ogni giorno.
Cata', raggiante, una volta, a Monza, dice: “Oggi andiamo in Autobianchi, ho vinto la causa”. Treno per Desio. Appuntamento con Capo del Personale, secondo turno, ore 14.00. Io aspetto fuori, dalla fabbrica. Passano quaranta/quarantacinque minuti, e torna. “Allora? Ricominci a lavorare?” - “No, non mi reintegrano, mi pagano stando fuori, devo continuare la causa”. Intanto, un assegno, dei soldi, ci sono. Treno. Ritorno a Monza. Dietro al Duomo c'è ancora un ristorante aperto. Cata' offre da mangiare. Cucina chiusa, solo melanzane alla parmigiana. Le migliori della nostra vita.
Alle cinque, uscita Philips, arriva il panino simmenthal. Si mangia anche quello.
Oggi, doppia razione. Chi ci ferma più?

*Il quadro è sempre di Leopoldo Cuspinera Madrigal. Non ho foto, dell'epoca. 

La bella vacanza. Estate 1971. Calabria.

L'occupazione del Centro Sociale Cantalupo, del Comune di Monza, si risolse, a luglio, con la concessione di una casa alla famiglia occupante. Per me, quei giorni, furono tranquilli. Dormivo nel seminterrato, c'erano servizi igienici, durante il giorno qualcuno veniva sempre a trovarmi. La mia motorella era scassata, bisognava ripararla. Così Maurizio, di Architettura, mi fece fare un giro sulla sua Gilera 300, d'epoca, già allora. Come il Falcone 500 di Pino, come Gilera 98 di Cosimo. Edda, 16 anni, del Quartiere, bella  e prosperosa, era sempre lì. Il mio dovere, e il mio scetticismo, evitarono il contatto... seppi, dopo un anno, di un figlio, avuto con uno del Quartiere.
Mauro, dice "Festeggiamo". Festa serale, attrezzata, in uno spiazzo. Canti. Balli. Anche qui, abbiamo vinto.
Si può andare in vacanza. L'unica, vera. Ancora spensierata. Storica. Motorella a posto, con Monza, Cataldo, qualcuno del Collettivo Autonomo di Architettura, altri Alfa Romeo, qualcuno di Milano, Cattolica e Statale, partiamo, Mauro e Chicca in testa. Destinazione: Tropea. Tappe a Poggibonsi e Bolsena. Aggiramento di Napoli, fermata a Paestum, avevamo gli architetti. Costiera amalfitana, appuntamento a Paola. Prima di Paola, viene buio, e mi fermo, sulla costa, a Camerota, dove c'è sagra. Mi trovano, alcuni nostri, tra cui Mario che abitava in Via Sangallo, con Piero, davanti alla mia Moretto da Brescia 27, mi vedono stanco. Mi caricano in una macchina, dove mi addormento, la moto la guida Mario. Notte fonda, Paola, un campeggio. La fine, sarà alle Formicole di Tropea, campeggio aperto per il secondo anno.
Chicca fa da cassiera. Mettiamo quello che abbiamo nelle sue mani, così, una volta al giorno, si mangia qualcosa. Siamo politici, ma non lo esibiamo. Siamo in vacanza: maresolemusicagelatoballare. Anche a Capo Vaticano, cinque km sotto Tropea, erano in vacanza. Ma gli sparano addosso, a quelli del Manifesto. Manifestazione, uffa. Io non vado. Comunque aria insicura. Nella notte, partiamo per attraversare la Calabria, verso Crotone. Freddo, su è giù per i monti. Mario riprende la motorella, io il suo posto in macchina. Alba, quand'è Isola Capo Rizzuto. Piazza come Messico dei film, case bianche, basse, botteghe senza insegna, retino per mosche e zanzare. Vengono a trovarci, sulla spiaggia, dal paese. Due anni prima avevano fatto rivolta, incendiando il municipio. Portano pesce e vino.
Festa, la sera, con noi. Quelli della rivolta al nord.

*Foto particolare di un'opera di Leopoldo Cuspinera Madrigal, architetto e artista di Puebla, Messico. Esposizione ad Unìsono, Palazzo Guarnieri, Feltre, 10/25 settembre 2011.

sabato 10 settembre 2011

Cala il sipario. Comincia il riposo. Tra il 1979 e il 1982. Una volta, a spasso con Mauro Pagani, disoccupato PFM.

L'ultima serata, dell'ultima edizione 1976 di Parco Lambro, fu notte con la PFM, Premiata Forneria Marconi. Per pochi intimi e ultimi resistenti, suonarono sul palco centrale fino a quasi le tre. Il violino, magico, che ricordavo, era di Mauro Pagani. Pure la voce. Girando per Sant'Eustorgio e Ticinese, nelle sere estive, una volta feci una passeggiata, fino alle Scimmie di Sergio Israel, con Mauro. Per scoprire che era fuori dalla PFM, quasi disoccupato, anche se continuava a fare ricerca, arrangiamenti, composizioni. Senza di lui, la PFM per me non c'è più, nonostante il bel ricordo di Parco Lambro e dei tanti dischi di successo. Come per le Orme, senza Aldo Tagliapietra, autore voce e chitarra.
Mauro Pagani, ha dimostrato da subito, proprio in quegli anni, senza PFM, il suo valore di musicista. Non avremmo avuto, se no, concerti ed esibizioni pubbliche di un Fabrizio De André arrangiato grintosamente, etnico e progressivo.
Il 18 aprile 2010, siamo riusciti a fissare una tappa di tour a Feltre di Cristiano De André, a undici anni dalla scomparsa del padre. Purtroppo, Mauro Pagani, non era sul palco. Ottima esibizione di Cristiano, polistrumentista, autore e miglior interprete dell'eredità di famiglia. Cristiano, a cena, confermò l'apporto di Mauro Pagani, le sue innovazioni, la sua importanza. Nella sua serata, Cristiano, suonò anche il violino.
Quasi come Mauro.


*Le foto dei post recenti si riferiscono ad opere di Arte del Novecento, esposizione a Belluno.

Via Tibaldi, conclusione. Comincia Monza... Giugno 1971. Preso da un certo Mauro.

Via Tibaldi, dopo lo sgombero, apre alla concessione di case per gli occupanti. Seguiranno molte altre occupazioni, da Via Cilea, Via Bisceglie, Via...
Si organizza la manifestazione, quella di "Abbiamo vinto". Riunione alla casa dello Studente di Viale Romagna. Per i servizi d'ordine. In un centinaio, alle tre del pomeriggio, ci si accorda, tipo: testa al Collettivo Autonomo di Architettura, che tanto ha fatto per ospitare tutti; centro a Lotta Continua, coda a Lotta Comunista, di Ingegneria. Principio base: difesa e salvaguardia del corteo, dei manifestanti, e del suo proseguimento in caso di cariche. Niente simboli di organizzazione. Striscione unico di testa. Bandiere, una selva, anonime. Tutto bene. Sabato di sole. Tanta gente, si dice trentamila anche se non è vero, ma sembra vero.
Nei miei cordoni, per capire cos'era Lotta Continua, al mio fianco c'era un cane sciolto un po' anarchico, altri simili, io che non sapevo da dove venivo e dove andavo... Ma eravamo il Servizio d'Ordine di Lotta Continua. Misteri. Da allora, l'han cominciata a chiamare, Lotta Continua, spontaneista.
Seduto fuori di Architettura, più o meno in quei giorni, proprio per un'assemblea, sul marciapiede davanti all'ingresso, si avvicina una valchiria, minigonna estremista, di jeans. "Ciao", dice sedendosi al mio fianco sinistro, quello debole. Ha appena detto di essere di Monza, la tipa, che si avvicina uno con barba, sorridente e fa: "Ciao, mi chiamo Mauro..., e tu?" - "Lele", rispondo cortese... - "Lele... sei stato in Via Tibaldi.." - "Sì..." - "Ho una proposta da farti: A Monza, c'è un'occupazione, piccola, una sola famiglia, nel Centro Sociale Cantalupo. Verresti a darci una mano, stando là...". Il mio "sì" comportò il trasferimento immediato a Monza, brevissima conoscenza della Valchiria, troppo nervosa, e guardia al Centro Sociale Cantalupo.
Destino di famiglia, quello di fare la guardia; mio padre, dopo il periodo di fattorino in Ufficio Pubblicità della Carlo Erba, per guadagnare in più, accettò l'incarico di vigilanza diurna agli ingressi della sede di Via Imbonati.
L'invito di Mauro Rostagno, a Monza, mi fece conoscere, per qualche anno, come "Lele di Monza".

venerdì 9 settembre 2011

Nati divisi. Come si può pensare di vivere? Gennaio 1970, Milano, grande Manifestazione contro la Repressione.

Era fresca, la morte, di Giuseppe Pinelli e di tutte le vittime della Banca dell'Agricoltura. A gennaio, 1970, dalla Statale, grande manifestazione Contro la Repressione. Cinquantamila. Ma. Appare Avanguardia Operaia, scissione del Movimento Studentesco, che con Capanna resta in Statale e loro, a Città Studi, Scienze, Farmacia, e altro. Potere Operaio ha, dietro il grande striscione, cinquanta gatti. Lotta Continua, grande striscione, altri cinquanta. Altri cinquanta, penso che sia apparso lì il nuovo "logo", dietro, la mia, Sinistra Proletaria, ex Collettivo Politico Metropolitano. E via così. Tra UCML - ML - Quarta Internazionale, Quinta, Sesta e la Settima  di Beethoven... chi più ne ha, ne metta.
Che casino.
Certo, dimenticavo, gli Anarchici. Se sei anarchico, che cazzo vieni a fare, lì. Va' da solo, no? Vuoi finire come in Spagna?
Grande sfilata, grande orgoglio, padroni della città... Vinceremo... Guai a voi... Cambieremo il mondo...
Nati divisi, borghesucci e borghesi, dove pensavate di andare?
Ah, ceeerto: IBM, TELETTRA, RAI, MEDIASET, FIAT, MONTECATINI, ENI.......ROMA.
Il seggio al Parlamento, il posto in poltrona, la vita moderna, i danè, money, argent...
Guardatevi allo specchio, voi che non siete ancora morti: stiamo pagando i vostri errori. Di collaborazione, falso sindacato, falsa democrazia, falsa civiltà.
Moriremo, poveri di tutto, anche per colpa vostra, delle vostre arroganze arriviste, provocazioni esibizioniste, mode di merda.
Ah, ci fosse ancora uno, uno, come Leonardo Da Vinci, in quest'Italia che non spera perché non ha speranza. In quest'Italia rapace e incapace. In quest'Italia che... non...ha...ancora...voglia...di...conoscersi...e...riconoscersi.

Mettiamo Toto Cutugno, va', che in Francia, quando ci sono andato, lo cantavano dappertutto. E ce l'ha cantata anche Tricarico, che è più di là che di qua. E va bene, così.
L'Italiano

Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare sono un italiano Buongiorno Italia gli spaghetti al dente e un partigiano come Presidente con l'autoradio sempre nella mano destra e un canarino sopra la finestra Buongiorno Italia con i tuoi artisti con troppa America sui manifesti con le canzoni con amore con il cuore con piu' donne sempre meno suore Buongiorno Italia buongiorno Maria con gli occhi pieni di malinconia buongiorno Dio lo sai che ci sono anch'io Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare una canzone piano piano Lasciatemi cantare perche' ne sono fiero sono un italiano un italiano vero Buongiorno Italia che non si spaventa e con la crema da barba alla menta con un vestito gessato sul blu e la moviola la domenica in Tivu Buongiorno Italia col caffe' ristretto le calze nuove nel primo cassetto con la bandiera in tintoria e una 600 giu' di carrozzeria Buongiorno Italia buongiorno Maria con gli occhi pieni di malinconia buongiorno Dio lo sai che ci sono anch'io Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare una canzone piano piano Lasciatemi cantare perche' ne sono fiero sono un italiano un italiano vero. La la la la la la la la... Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare una canzone piano piano Lasciatemi cantare perche' ne sono fiero sono un italiano un italiano vero
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giovedì 8 settembre 2011

L'Oreste (Scalzone), dappertutto.

Ovunque tu andassi, dal '70 in avanti, lo trovavi. Oreste Scalzone, dopo l'armadio di Roma che gli han buttato in testa, era a Milano in ogni sciopero, in ogni corteo, quasi in ogni assemblea. Era dappertutto. Col suo spolverino bianco sporco, un giorno, mentre con mamma Mina andiamo a trovare i parenti in Veneto, lo troviamo anche in Stazione Centrale. "Ciao", "Ciao, come stai? Ti presento mia madre. Gelsomina.". Cordiale, elegante, saluta ed è cortese, come sempre, gentile, si informa. In treno, mamma Mina chiede del mio amico. "È con te, in Lotta Continua?". "No", rispondo, "lui è di Potere Operaio". Difficile spiegare le differenze, prosegue il viaggio in treno... Forse è la volta che andiamo a trovare suo fratello, zio Aldo. L'ultimo minatore in vita dal Belgio. Che ha dovuto scappare dalla Falck, quando sono nato, nel '52, perché sindacalista della CGIL. E che in miniera ci è rimasto sotto. E ha ancora un budello d'argento. E non respira, per via della "pussiera", silicosi, polvere di carbone. E così si è comprato una vespa, verde, per girare. Ne è tutto contento. La tiene nell'ingresso della casa. A San Giovanni Ilarione. Ma l'han tirato sotto, un giorno. Morto sul colpo. A 52 anni. Dopo la Guerra, Partigiano, Operaio Falck, Minatore. Nemmeno la pensione, del Belgio, si è potuto godere. Gli altri suoi fratelli, miei zii minatori in Belgio, l'avevano preceduto. Chi a 40, chi a 44. Anni.
Quando ho superato i cinquantadue anni, quelli di mio zio Aldo Bado, mi son detto: vabbè, dovrai vivere ancora per un po'.

Via Tibaldi, la grande occupazione. Di guardia. Milano, giugno 1971.

Mac Mahon, prima occupazione di case a Milano, l'ho mancata. Perché ero in ospedale con le vertebre rotte. Ma quando apparve Via Tibaldi... Prendo la motorella e parto. Ormai, era solo Lotta Continua. il CPM, Collettivo Politico Metropolitano/Sinistra Proletaria/Nuova Resistenza, era un ricordo.
Arrivo, in quello che era un cantiere edile con le palazzine da terminare, e Luigi, appena sceso dalla motorella, mi dice: "Ho un compito per te: fai servizio d'ordine, guardia all'ingresso". Via Tibaldi era stata occupata perché IACP, case popolari, con attico assegnato al fratello del sindaco, Aniasi.
Gli occupanti, arrivavano da alcune fabbriche e quartieri della periferia, abitanti in case fatiscenti, inadeguate, tutti con figli, non solo meridionali. Come Piero, milanese, operaio alla Fargas di Bollate
Tolgo il casco, per fare la guardia, e Luigi mi dice "No, tienilo". Chiamalo casco... che al confronto dei marziani di oggi era un guscio d'uovo. Vabbé. Facciamo la guardia. "Ciao, Ciao", mi dicono tutti quelli che entrano, e che se non conosco chiedo chi sono e da dove vengono. Fanno foto, di me, col guscio d'uovo in testa, che poi risulteranno pubblicate su qualche quotidiano, settimanale, e via. Che ne so. Non ero lì per quello.
Passa il giorno, passa la notte, arriva l'alba. E io lì. A far la guardia. Mi muovo solo alle sei, per portare, in motorella, un transessuale a casa, che si è fermato, e gli piace la situazione e ok, ti accompagno a casa, ma non stringere troppo, però. Assenza di dieci minuti e sono di nuovo al mio posto. Nel tardo pomeriggio, passa Luigi, mi trova lì, dice come va?, rispondo tutto bene, vede che sono un po' stanco e scopre che non dormo dal giorno prima. "Va' a dormire, riposati...". Ok. Entro finalmente nella palazzina, e, trovo un pezzo di pavimento in parquet per sdraiarmi e dormire. Quando mi sveglio, sera/notte, a parte che stanno bruciando il parquet per scaldarsi, che Luigi si incazza perché è un danno... e il parquet in tek costa un sacco di soldi... e così hanno la scusa per chiamarci vandali... salta fuori che è imminente lo sgombero.
Attendiamo la celere dalla solita ora, le cinque del mattino, che arriva quasi alle sei, prime luci dell'alba. Per decisione, restano solo gli occupanti, ad attendere. Noi, una trentina, scavalchiamo il muro sul retro e camminiamo lungo la ferrovia, per disperderci, in piccoli gruppi, e ritrovarci successivamente nei dintorni di Via Tibaldi. Celere, che arriva da lontano, anche sulla ferrovia. Via, via...
Quanto si torna, dalle parti di Tibaldi, si fa solo in tempo a correre dietro ai pullman della Questura, che portano via gli occupanti. Per salutare. Cantare. Piangere. Ricordare.
Appuntamento, la sera, nel monastero di Corso Magenta, Museo Archeologico, dove hanno allestito per tutti dei letti di emergenza. E finalmente dormo.
Appuntamento, poi, in Architettura del Politecnico. Ospiti di Paolo Portoghesi, degli studenti, dell'università.
Abbiamo, già, vinto.
(Il quadro è di Vania, 2011, Feltre Mondiali di Bocce)