Benvenuti nel mio blog personale. Buon 2012.

martedì 27 settembre 2011

Telefonata da Giuseppe. In caserma, insieme, alla Baldassarre di Maniago.

Ieri, ha telefonato Giuseppe. Su internet ha visto che si parlava di Maniago. Eravamo, insieme, nella 5a Compagnia Genio Pionieri, alla Badassarre. Poi, lui di Torino, è andato alla Mirafiori. Ora, lavora a Milano.
Ho detto: racconterò, ancora...
Sono tornato, nelle caserme del Friuli, nel 1975. Facevo da guida a Lidia Ravera, per via del settimanale ABC, dove, grazie a Claudio, curavo la pagina sui militari. Ad ABC, c'era, con Lidia Ravera, Guido Passalacqua, che poi gli spararono alle gambe, quand'era a Repubblica, a casa sua, Brigate Rosse, dicono, ma lui li conosceva, e non comprese il perché. Con Lidia andammo ad Ipplis, caserma Prima Guerra Mondiale, sul confine, paesino, strada sterrata, incontro con militari con scusa visita parenti. Lidia, scrisse, su ABC. Tornai in Friuli nel 1979, il 4 luglio, festa dell'Indipendenza USA. Con Igi, di Udine, andammo ad Aviano, base aperta al pubblico, aerei in esibizione, cronaca scarsa, pance da birra ed hamburger, tutto là. In moto, Transalp, tornai ad Aviano e Maniago, vent'anni dopo. Nel 1993, la nostra palazzina aveva le finestre rotte. Il piantone, all'ingresso, mi guardò come fossi un marziano, che mi presentavo come ex geniere, vent'anni dopo. Ebbe compassione, disse che le cose erano cambiate, ora si era Brigata, c'era sempre l'Artiglieria. Stessa storia ad Aviano, tutto abbandonato, solo una compagnia di avieri, alla Zappalà.  Tornai a Maniago nel 2003, trent'anni dopo. Sorvolai la caserma, passeggiai per la piazza, quella delle rose rosse, cercavo il maestro d'armi Del Tin, in zona artigianale. Mentre altri facevano coltelli e forbici, Del Tin faceva spade e alabarde, corazze, per il cinema, la televisione, le rievocazioni storiche. Con le armi di Del Tin, feci un'esposizione, nella Sala degli Stemmi in Municipio, nel giugno 2003, per la Mostra Regionale dell'Artigianato di Feltre. Per me, oggi, Maniago, Aviano, Barcis, Claut, Montereale Valcellina, Pordenone, Spilinbergo, Sacile... sono luoghi magnifici, da visitare, da passeggiare, da pensare.

* Non ho tempo per cercare le foto di Del Tin, 2003. Metto Walpurgis, domenica 25 settembre 2011, Piazza Maggiore, Feltre.   

martedì 20 settembre 2011

Maniago. Dove il vento si taglia col coltello. (Naja, 1973)

Maniago, Pordenone. Prima c'è Nuovo Vajont. Villaggio, che è già un saluto. Da Barcis, dal lago e dalla valle del Cellina, tira un vento che ti stira. A Maniago fanno coltelli. Oggi, come allora. Averne uno, quando giri l'angolo della palazzina, in caserma, servirebbe per tagliare il gelo di un inverno da dimenticare. Genieri, in un piano, Trasmettitori, sopra. Sanità, nella seconda palazzina. Tutti, serviamo, il battaglione d'artiglieria. Tra l'uno e l'altro, siamo quasi tremila. Il paese è vicino, un paio di km. Non è come Aviano. Il Friuli delle trattorie, servitù militari italiane, è gestito da famiglie, papà, mamma, figlio, figlia. Più umano. Quasi ogni giorno mi chiamano all'altoparlante, ..." il geniere taborgna..." convocato da questo, da quello, dal Capitano della Compagnia. L'enfasi pseudogolpista prevede, solo nella mia Compagnia, decine di Lotta Continua. Uno ha fatto uno sciopero a scuola. L'altro, arriva da Torino. E tanto basta. Un altro, da Savona. Due-tre da Milano. L'ipotesi sovversiva, utile per altri scopi, deve, per esagerare, dare importanza a ragazzi ventenni. Passano i giorni, passa la naja. Dopo cinque mesi, da quando son partito per Palermo, non ho ancora avuto una licenza. Le avrò solo per processi politici. L'avrò, quando passerà la marcia antimilitarista di Pannella e dei Radicali, che aveva l'adesione di Lotta Continua. Allora, mi mandano a Milano. Ma io parto, timbro la licenza, riprendo il treno, torno. Sarò alle tappe di Aviano e Pordenone. In borghese. Un amico di Fucecchio, della Baldassarre, mi lascia le chiavi della moto, Gilera 150, parcheggiata davanti alla caserma. Con quella, e con una ragazza bionda, prestata per confondere e confondermi, sarò ad Aviano. Poi a Pordenone, dove Marco Pannella si sdraia davanti alla Caserma Fiore. Torno a Milano. Riparto per Maniago. Dove un tenente firmaiolo, stronzo, dice: "Ti ho visto in moto con una bella bionda...". "Non ero io, Signor Tenente. Io ero a Milano, in licenza". Sai com'è, si rischiava Peschiera...
Le riunioni, tra militari, le facevamo in parrocchia. Anzi, un paio, in una chiesetta sopra il centro di Maniago. Il capitano Mario Branca, di Palermo, alto e grosso, aveva il suo daffare con un napoletano, alto e grosso, che di naja non voleva saperne e scappava, verso l'uscita della caserma, ad ogni adunata del mattino. E lui, il capitano, dietro, a rincorrerlo. È andata così, per qualche mese. Il napoletano alto e grosso, che scappava, dormiva sopra di me, nella branda a castello. Non mi ha mai dato fastidio, nonostante il peso.
Maniago scorreva, mese dopo mese. Con i giornali, acquistati nell'edicola della piazza, si sapeva del mondo. Campo ad Asiago, sull'altopiano, ghiaccio e freddo, stress, sporco, richiesta/protesta per doccia, trasferimento a Motta di Livenza per lavarci. Campo a Lignano, stress, ponte sul Tagliamento, radio che non funziona, rischio denuncia per difesa siculo ubriaco/malato, Capitano Branca che non molla, mi vuole sempre al suo fianco, mi incarica di suonare la sirena del rancio, delle adunate, delle stronzate... 2 giugno, rose rosse, capitano in ginocchio "Che ho famiglia, tu mi rovini..." io sull'attenti, nel suo ufficio, "Capitano, che fa, si alzi...".
Pur di tenermi lontano dalla caserma, sotto controllo, mi porta con un M113 in mezzo a un campo, tutto il giorno, a far niente. Riuscirà, comunque, a darmi dieci giorni di CPR, non si sa perché. La sua umanità, decide, per il congedo, con me. Va nel Genio Civile. Dopo il trasferimento dei tre Colonnelli comandanti, sembra la strada giusta. Io, resto in caserma, ultimo del mio contingente, a scontare la punizione. Un sottotenente, allenta di qualche giorno, la mia condanna. Mi libera, quasi a Natale, 1973. Torno a Milano. La naja è finita.

venerdì 16 settembre 2011

Aviano, Stati Uniti d'Italia.

Solo una notte, a Motta di Livenza, Treviso, nel Comando Battaglione Genio Pionieri della Divisione Ariete. Il giorno dopo, Caserma Baldassarre, Maniago, Pordenone, per la 5a Compagnia Genio Pionieri. Arrivo, con la mia divisina grigioverde da fante palermitano, e mi vestono con basco nero, fazzoletto nero/viola, colori da morto, per spedirmi ad Aviano, due mesi, corso di radiofonista. Sono un L4, frattura grave, dopo le vertebre rotte in motorella. Ma non gliene frega niente a nessuno, fin dalla visita di leva. Sono nei reparti operativi dei confini nord-est. Caserme senza riscaldamento. Rancio che ghiaccia prima di arrivare a tavola. Ma come L4, non possono mettermi a costruire ponti sul Tagliamento. Quindi, radiofonista. La caserma Zappalà di Aviano ha cinquemila militari, bersaglieri e carristi. Per il paese, ci vogliono cinque km. Che si fanno in camion, come i deportati, per trovare il deserto, camerierine in minigonna, lì per noi, per il piatto di pasta che riusciamo a pagare con la decade della carità. C'è guerra, in Vietnam. Solo una rete, separa la Zappalà dalla base aerea USA. Quando siamo liberi, ci stiamo attaccati, a guardare i Phantom che decollano e atterrano. Sono aggregato ai bersaglieri, palazzina confinante con la pista della base. Giorno e notte è tutto un vvvvvvooooohhhhmmssssss, sibilo/rumore assordante dei reattori che ti entrano nelle orecchie, nel letto, fan tremare muri e pavimenti. Qualche volta, vengo convocato dal Colonnello Comandante. Discorso di rito, noi siam qui, noi  siam qua... Intanto, mi fa sapere che c'è. E convoca solo me. I bersaglieri, corrono. E ormai è inverno. Giù dalla branda, in cortile, con tutina/pigiama, 15 sotto zero, e corri. Papapapa/papapapa, marcette, agli altoparlanti. Freddo bestia. Io, in testa alla compagnia, col mio basco nero tra i fez cremisi, dico: si rallenta, non si corre. E rallentiamo, tutti. Le infermerie son piene, di noi, con bronchiti e broncopolmoniti, quaranta di febbre. Non bastano. Bisogna usare le aule. Ci finisco anch'io, che adesso, penso, muoio, perché nessuno ti caga e ti cura. Ho la compassione di un ragazzo, che mi porta un qualcosa di delicato, da mangiare, dalla mensa sottufficiali. Finita questa storia, torna il mio ascesso pre-naja. Febbre, male, marco visita. Arriva il Colonnello Comandante che decide, lui, chi è sano e chi è malato. Io sono sano. L'ufficiale medico interviene, si oppone, salvandomi.
Questa caserma è da chiudere. Questi colonnelli devono andarsene a casa. Queste Forze Armate devono cambiare. Così, sarà. Gennaio 1973. Sono passati altri due mesi. Torno a Maniago. Me ne restano undici.

*La foto è di Feltre, 2 giugno 2011.

giovedì 15 settembre 2011

Palermo, parentesi europea.

I sessanta giorni trascorsi a Palermo, alla caserma Scianna, furono sufficienti per farmi amare la città. Europea, bella, aperta, intelligente. Ancora, qualche angolo da sistemare. Ma, dal Teatro Politeama, a tutto, era magnifica. Moderna. Ho ancora il ricordo dello spada che, con i pochi soldi della decade, riuscivo ogni tanto a mangiare alla Vucciria. Da lì, Guttuso. Da lì, la lettura e l'ammirazione per Leonardo Sciascia. Dal 1972, non sono più riuscito a rivederla, Palermo.

*Tetti di Palermo, 1985, Renato Guttuso. Da www.guttuso.com

mercoledì 14 settembre 2011

E fu naja. Settembre 1972.

Non passa un mese, dal 17 maggio di Calabresi, che Mauro Rostagno ci saluta. Se ne va. Via da Monza e Brianza, lavoro finito, tutto in piedi, ora fate voi. Dispiacere, occhi lucidi... Mauro va a Palermo, Sicilia. Per il Sud, perché c'è più da fare là, che qua. A luglio, lui e Chicca sono giù.
Settembre. Tocca a me, ora, partire per il servizio militare.
Dove pensate che mi mandino?
Avete indovinato.
Parto per Palermo. In ritardo, sulla data della cartolina, per via..., lo racconto solo in privato. Il ritardo è giustificato da un ascesso mastodontico, faccia destra gonfia, sinistra normale. Certificato medico in tasca, dopo 23 ore di viaggio, in stazione a Palermo c'è la Polizia Militare, ma con quella faccia malata e gonfia non faccio per loro. Arrivo alla Scianna, fanteria, centro addestramento reclute. Quando mi presento all'ingresso, il sottufficiale mi guarda strano... “Lei risulta disertore...”, “Come”, faccio, io, “son qua...”. “Sì, ma dopo tre giorni noi mandiamo i carabinieri...”. Mentre ero in viaggio, i carabinieri si erano presentati dai miei, a Milano, per cercarmi, in quanto disertore. Ok, cominciamo bene. Infine, con certificato medico accettato, mi mandano in camerata e divento militare. Addestramento, scritta, sul fronte destro della caserma, Taci e Obbedisci; col punto esclamativo, che io non uso. Mi mandano, di corvè, in cucina, e scopro che il quarto di carne ha il timbro Argentina 1936. Non c'è acqua. Per farci la barba, se vuoi uscire, usiamo l'aranciata.
Mauro e Chicca sono a Palermo. Bella casa, dalle parti di Mombello. Muri a secco, stradina, ingresso, portico, grande. Partecipo anche a una riunione di redazione, in sede.
Mi metto a rapporto dal Capitano e chiedo di rimanere a Palermo. Che mi piace.
E che, non lo sapevano?...
Quando si va a sparare, sopra i monti, quel capitano ordina il fuoco mentre i segnalatori, militari che riferiscono dei colpi a segno, sono fuori dalla buca. Io, vedo. Non sparo. Altri come me. Ma qualcuno, spara. Poteva scapparci il morto. Anche quando uno butta la bomba a mano troppo vicino... Vabbè.
Finché esco dalla caserma, con i miei della compagnia, per andare alla trattoria di fronte a mangiare una pasta, tutto bene.
Quando ci organizziamo in quattro, con un 'amica che ci viene a prendere in auto, veniamo subito fermati dai carabinieri che ci chiedono che ci facciamo, fermi lì. “Stiamo decidendo dove andare a mangiare...”, rispondo candido.
E che non lo sapevano?
Giorno del Giuramento. Fine. “Guarda che è venuta a prenderti la tua fidanzata”, mi dicono. Fingo, e vedo Chicca, che saluto come la mia fidanzata e.. andiamo...andiamo via.
Che si pensava che si facesse, a Palermo? Il casino? I soldati della rivolta?
Ma va là, quaquaraquà.
Il 23 novembre, la tradotta militare parte per il nord. Tra Palermo e Messina, fanno il bagno. L'ultimo risveglio è vicino Ferrara. Nebbia e freddo. Mi porteranno in una caserma fatiscente, a Motta di Livenza. Nebbia e freddo. Camerata da cento letti. Pronti per fare i nonni e gli scherzi al nuovo arrivato. Basta uno sguardo, il silenzio, e il restare immobile, per distogliere ogni loro prurito.
È appena cominciata. Proseguirà per altri tredici mesi. Ne uscirò indenne.
Quelli che pensano di comandare, no.

Dai, davvero? Ti piacciono i Led Zeppelin? E io sparo lacrimogeni. Milano, Vigorelli, luglio 1971.

Eh, sì. Tempi duri. Finalmente, Led Zeppelin in concerto al Vigorelli, davanti alla Fiera di Milano. Fuori dal velodromo, trecento in attesa di entrare. Dopo un po', trattative, dialogo, persuasione, gli organizzatori aprono e fanno entrare il gruppo, che va a sistemarsi sulle gradinate. Tutto ok. Parte Jimmy Page, batteria, basso, volume, l'acuto di Robert Plant. Tutto ok. Venti minuti di musica e, senza apparente motivo, un reparto della celere carica gli spettatori seduti nell'ala velodromo sinistra palco. Carica? Solo? Ma no, comincia a lanciare lacrimogeni, all'interno.Fuggi fuggi... L'aria tira verso il palco, direzione nord-est. E sono tosse e lacrime, per Robert Plant. Imprecando, prima, in una nuvola di fumo, mandando affanculo, poi, deve interrompere il concerto.
Gli scontri, proseguiranno all'esterno del Vigorelli, fino a tarda notte. Fermi. Arresti. Perché? Anche tra la polizia, da allora e nel giro di qualche anno, ci si pone il quesito. Ma del Capitano Margherito, degli ufficiali di polizia che denunceranno deviazioni interne e daranno vita al Sindacato, ne parleremo...

Prima di Calabresi: 12 dicembre 1971, blindati in Leonardo Da Vinci; 11 marzo 1972, basta divieti, ottomila in piazza; Pasqua 1972, Convegno a Rimini, tutti schedati.

Il 12 dicembre 1971 la Questura vieta i cortei per la strage di Piazza Fontana. Siamo relegati, tipo stadio, in Piazza Leonardo da Vinci, Politecnico e Architettura, Città Studi. Grigio, triste, impotente ricordo della Strage. In più, saltano fuori, da una perquisizione, la sera prima, dai ciucci di Potere Operaio, che nessuno ovviamente conosceva, bottiglie molotov... Apriti, cielo. Divieto assoluto di manifestare, d'ora in avanti. L'avanti finisce l'11 marzo 1972, quando, vuoi o non vuoi, si scende in piazza. Tutti i militanti diventano servizio d'ordine, uomini e donne. Cordoni stretti, su Foro Bonaparte e Castello Sforzesco. Tupa-Tupa-Tupa: Tupamaros. Guai, oggi, a chi ci tocca. Disposti a morire, che lasciare il passo. La compagnia della Celere, in assetto, avanza al centro di Foro Bonaparte verso noi. E noi lì. Avanzano ancora. E noi lì. Tentennano... Parte un casino che durerà fino a tarda notte, con ottomila in Piazza. I divieti vengono tolti. Ok. Ai primi di aprile, Convegno a Rimini. Sulla violenza. Lascio la motorella in Stazione Centrale e via, treno per Rimini. Albergo a Viserbella. Cici-coco, la violenza sì, la violenza no. Si discute, del più e del meno, ma soprattutto delle imminenti elezioni: votiamo Manifesto che ha messo in lista Pietro Valpreda? Questo, il dunque, su cui votare. “Scusate, ma dobbiamo consegnare alla Polizia, qui fuori, le nostre carte di identità...”. Ok. Centocinquanta documenti vengono portati fuori, per le verifiche della Polizia. Adriano, è per il voto al Manifesto e la conseguente elezione/liberazione di Valpreda. Paolo e altri, no: astensione. Io, non ancora ventenne e senza diritto di voto, ai 21 si votava, penso: non me ne frega niente. Importante, per me, era lavorare ogni giorno. Che chi lavora, è già rivoluzionario. Voto per l'astensione. Vince l'astensione. Quando torno a Milano, la motorella, Gilera 124 5 v, non c'è più. Rubata. Lo immaginavo. Non faccio nemmeno denuncia, che io non denuncio niente e nessuno...Tanto, a settembre, parto per militare.  

L' “Affaire Calabresi”. Dopo un duro inverno, una cruda primavera. (1972).

Con la motorella, autunno/inverno '71/72, passo in Via Buschi, vicino Lambrate, a prendere Mauro, per Monza. Ogni giorno un cartello, da scrivere. Il cavalletto, per appenderlo, era nel prato, davanti alla mensa Philips. Buschi-Monza-Cartello-Philips. Un, giorno, mentre aspetto che Mauro si vesta, e saluto Chicca, sono alla finestra di Buschi a vedere un tipo che passa, in strada. Capelli lunghi, neri, barba. Mefisto. “È Ignazio La Russa...”, dice Mauro alle mie spalle, “...abita qui vicino.”. Tanto freddo, con la motorella, per andare a Monza. Mauro si ripara, dietro me. Da Silvia, tra le belle trentine a Milano, capita di recuperare un'Anglia, automobile, grigia. E a Monza ci andiamo con quella. Lavora, lavora. Incontra, incontra. Passa l'inverno e arriva la primavera. Dai genitori di Chicca arriva, nuova fiammante, una Cinquecento aragosta. Gioia. Sul sedile posteriore, quando siamo in giro, andremo anche a Pisa, canto, e canto. Lucio Battisti, che a me piaceva, e anche a loro.
Prove di stampa, marzo '72. “Processo Valpreda”, quotidiano, esce per quattro giorni. Diffusione militante, incontri nelle scuole e dove si può. Ad aprile, uscirà il quotidiano “Lotta continua”. Abbiamo, tanto, da fare. E in autunno, è fissato il processo Calabresi/Lotta Continua. Sarà verità. Su Pino Pinelli e la Strage di Stato.
Il 17 maggio 1972, la nostra primavera finisce:”Il Commissario Luigi Calabresi è stato assassinato davanti alla sua abitazione in Largo Cherubini, Corso Vercelli, Milano”. Disastro. Esserci, non sparire. Presenza. Informare. Esporsi. Qualcuno, dice, che, in qualche posto, hanno brindato. Noi, da Spalto Piodo di Monza, sentivamo un grande peso, preoccupati, quasi offesi. Perché attendevamo il processo. “Chi semina vento, raccoglie tempesta”, giorno dopo. Con il cartello che riprende l'editoriale del quotidiano, mi presento al Mosè Bianchi di Monza, dov'ero stato in assemblea con “Processo Valpreda”. “Vergogna”, dice un signore, un passante. “Di che?”, rispondo io, a testa alta.
Ma è dura. Qualcuno, qualcosa, ha voluto, ancora una volta, cambiare la storia e le carte in tavola. Giocando con la morte.
L'”Affaire Calabresi” comincia qui. Continueremo. Perché risulteremo gli unici, condannati con certezza, quando un'infinità di stragi attendono, ancora, quella certezza. Strano? No.
La nostra, innocenza, è, nella, nostra, vita.
Ma, Mauro Rostagno, è stato ucciso. La sua, e nostra, limpida, verità. È stata uccisa.

*Foto: Arte del Novecento, Belluno, Palazzo Crepadona, 2011.

martedì 13 settembre 2011

Suor Cristina: ...t'è vegnèt un canchèr. Le è venuto. (Fanciullezza Abbandonata, Via Nino Bixio, Milano).

Papà, in Pensione, in Via Tadino, Viale Tunisia, stanza a tre letti. Dopo la Polizia, l'Associazione Mutilati e Invalidi per Servizio gli trova lavoro. È all'Argenteria Broggi, Milano. Mamma cameriera, in Via Serbelloni, dietro Corso Venezia. E io? Dal Veneto, sette anni, mi portano a Milano, in collegio, in attesa di qualche fortuna. “Fanciullezza Abbandonata”, si chiama, Via Nino Bixio. Seconda elementare. Suor Cristina, cattiva come la peste, in cattedra. Spazzolone in mano, dalla parte del manico. Chiama il povero balbuziente, spesso, per interrogarlo... E lui, balbetta... Stock stock stock, che non è il liquore, senti sulle ginocchia e sulle gambe del bambino, con lo spazzolone, parte finale. Capita anche a me. Non so perché, intimorito, certo, non riesco a leggere con lei di fianco, e comincia a sbattermi la testa sul banco, dove c'erano ancora i calamai. Una, due, tre e più volte. Certo, piango. Arriva domenica. Suor Giovanna, la più bella del collegio, mi chiama. Tutta premurosa e gentile, non lo è mai stata, mette una pomata bianca sul nero bluastro che ho in viso, sulla fronte... “Sono venuti papà e mamma, a trovarti...”, bella, dolce e soave, Suor Giovanna... “mi raccomando, sei caduto..., devi dire che sei caduto...”. Mi porta in parlatorio e i miei fanno una faccia strana, vedendo la mia, tutta neroblu. “Cosa è successo?”, dicono, ancora con la suora lì. “Sono caduto...”, ma a mia madre, e a tutti nella vita, non riesco a mentire, scoppio a piangere..., “mi han fatto male...”. Papà Giulio fa un balzo sulla sedia, chiede della Madre Superiora, è un putiferio. Suor Cristina, viene allontanata, morirà di cancro. Al suo posto, arriva Suor Maria Giovanna, minuta, alta come noi, dolce. Vivevano di Stato, Concordato e Benefattori. Quando c'era il funerale, di un Benefattore, uscivamo in divisa, a me in Santa Francesca Romana han fatto portare il labaro, belli e puliti, in dieci/dodici, in fila per due. “Fanciullezza Abbandonata”. Molto commovente. Perché cambiar nome, al collegio? I parenti del Benefattore, morto, diventavano anche loro benefattori. La notte di Natale, sveglia, pantofoline rosse nuove, divisa nuova, giù... in Cappella... ci sono i Benefattori. La mattina di Natale sparivano, pantofoline e tutto. Il pomeriggio, di Natale, si giocava con i regali portati dai genitori e dai Benefattori. La mattina di Santo Stefano, i regali sparivano. Pulire i cessi con la pomice. Dovevamo. Spazzare il cortile, a novembre, che è pieno di foglie. Lo spazzi, esce la suora, “ci sono ancora foglie, pulire.”. È novembre. Le foglie cadono. Quando hai pulito una volta, qualche foglia in più, ci sarà sempre... Pulire i muri, di marmo, del refettorio. David Copperfield di Dickens, quando lo studiai alle medie, non mi fece né caldo né freddo. Già visto... Nel salone della ricreazione, da lì mi abituai a star solo anche in mezzo alla gente, un centinaio di bambini urlanti e giocanti. Io, seduto in mezzo, a leggere il libro, regalo dei miei. Si avvicina Suor Giovanna, la bella. “Cosa leggi?”. “Cuore, di Edmondo De Amicis...”, “Ah, non è un libro adatto..., sarebbe vietato..., chi te l'ha dato?”, “I miei genitori...”. “Ah...”.
Mamma e papà, finalmente, trovarono un piccolo appartamento in Via Moretto da Brescia 27, Città Studi. E mi portarono via. Papà, aveva già segnalato, ai suoi amici in Questura, il fatto. Ne vennero fuori altri. Alla fine, il collegio “Fanciullezza Abbandonata” di Via Nino Bixio, venne chiuso. Maltrattamenti, ruberie? Mah. Mistero. 
Intant: "T'è vegnèt un canchèr, brüt demoni, in maschera da suora...". (Che ti venga un cancro, brutto demonio, mascherato da suora...).

*la foto è dal Museo Civico di Belluno.

In musica. New Trolls e Le Orme. Concerti a Monza.

Stesso periodo, '71/72, Monza in musica. In un capannone dietro Via Milano, concerto dei New Trolls. Scalcagnati come siamo, a soldi, ci presentiamo in una ventina, chiedendo se possono chiudere un occhio sull'ingresso, che ci piacerebbe sentirli. Dal palchetto/pedana, tutto era semplice, arrivano De Scalzi e Di Palo. Quando sanno chi siamo, dicono ok, piccolo obolo, quello che ciascuno può, e ci fanno sedere a terra, davanti a loro. Poi, danno i genovesi come tirchi... Bugie. E Ci volevano bene. Nel capannone, tre/quattrocento, spettatori.
Al parchetto di Villa Reale, estate, ecco Le Orme. Palco piccolo piccolo. Anche lì, pubblico da trecento. Anche lì, ci fanno entrare gratis.
Vittorio De Scalzi, incontrato in un auditorium vicentino nel 2008, con Nico Di Palo, ricordava. E ha raccontato le novità, del libro appena uscito, che sono rimasti un due... 
Aldo Tagliapietra, Le Orme, aveva memoria del piccolo concerto di Monza. Ho avuto modo di frequentarlo, 2007/2008, grazie a Christian, voce di Feltre, in più occasioni. Le Orme, con PFM, e New Trolls, erano rock progressivo, sui Genesis italiani. Grandi successi. Grandi storie. Grandi animi ed umiltà. Musicisti.

*lo scarabocchio, in foto, è colpa mia.

Fame da rivoluzione. Rivoluzione da fame. Come eravamo, 1971-1972.

Settembre 1971, settembre 1972. Cataldo e io, coppia fissa, tempo pieno, Monza. Fabbriche e scuole, piazze strade quartieri. La sede in Spalto Piodo guarda su un Lambro melmoso, grigio, puzzolente. Solo pantegane, da un chilo, riescono ad attraversarlo. Pesci, zero. Pensare che uno slogan, diceva “fascisti carogne, tornate nelle fogne”. Che potevamo dire “venite a trovarci, che noi, nelle fogne, ci siamo già”. Non potevamo, nemmeno, essere pesci nell'acqua, che anche Mao ci avrebbe detto di starne fuori. Comunque, bello. Philips, Simmenthal, Piaggio, Delchi, Singer e altre, le fabbriche. Scuole, tante. Monza centro della Brianza, dodici km da Milano, 180mila abitanti. Bisognava stare là. Mauro butta colore sul muro del capannone e scrive, allora si usava così, una campale “Brianza, svegliati, è l'ora del Comunismo”. Hai voglia, di lavorare...
Cata' è licenziato Autobianchi, in attesa del militare. Io sono disoccupato, in attesa del militare. Siamo liberi, per la Brianza, attendendone il risveglio. Intanto. La rivoluzione non è un pranzo di gala... Ho capito, ma nemmeno morire di fame. E invece, fame, fame. Si aspetta l'uscita della Philips, alle 17, perché Cosimo, Sergio e gli altri, d'abitudine, ci portano un panino con la simmenthal. Si dorme dove si può, dove si deve... In Via Settembrini, Milano, sono le puttane a regalarci cinquecento lire. Intanto si regge, davanti a fabbriche, scuole, quartieri. Ogni giorno.
Cata', raggiante, una volta, a Monza, dice: “Oggi andiamo in Autobianchi, ho vinto la causa”. Treno per Desio. Appuntamento con Capo del Personale, secondo turno, ore 14.00. Io aspetto fuori, dalla fabbrica. Passano quaranta/quarantacinque minuti, e torna. “Allora? Ricominci a lavorare?” - “No, non mi reintegrano, mi pagano stando fuori, devo continuare la causa”. Intanto, un assegno, dei soldi, ci sono. Treno. Ritorno a Monza. Dietro al Duomo c'è ancora un ristorante aperto. Cata' offre da mangiare. Cucina chiusa, solo melanzane alla parmigiana. Le migliori della nostra vita.
Alle cinque, uscita Philips, arriva il panino simmenthal. Si mangia anche quello.
Oggi, doppia razione. Chi ci ferma più?

*Il quadro è sempre di Leopoldo Cuspinera Madrigal. Non ho foto, dell'epoca. 

La bella vacanza. Estate 1971. Calabria.

L'occupazione del Centro Sociale Cantalupo, del Comune di Monza, si risolse, a luglio, con la concessione di una casa alla famiglia occupante. Per me, quei giorni, furono tranquilli. Dormivo nel seminterrato, c'erano servizi igienici, durante il giorno qualcuno veniva sempre a trovarmi. La mia motorella era scassata, bisognava ripararla. Così Maurizio, di Architettura, mi fece fare un giro sulla sua Gilera 300, d'epoca, già allora. Come il Falcone 500 di Pino, come Gilera 98 di Cosimo. Edda, 16 anni, del Quartiere, bella  e prosperosa, era sempre lì. Il mio dovere, e il mio scetticismo, evitarono il contatto... seppi, dopo un anno, di un figlio, avuto con uno del Quartiere.
Mauro, dice "Festeggiamo". Festa serale, attrezzata, in uno spiazzo. Canti. Balli. Anche qui, abbiamo vinto.
Si può andare in vacanza. L'unica, vera. Ancora spensierata. Storica. Motorella a posto, con Monza, Cataldo, qualcuno del Collettivo Autonomo di Architettura, altri Alfa Romeo, qualcuno di Milano, Cattolica e Statale, partiamo, Mauro e Chicca in testa. Destinazione: Tropea. Tappe a Poggibonsi e Bolsena. Aggiramento di Napoli, fermata a Paestum, avevamo gli architetti. Costiera amalfitana, appuntamento a Paola. Prima di Paola, viene buio, e mi fermo, sulla costa, a Camerota, dove c'è sagra. Mi trovano, alcuni nostri, tra cui Mario che abitava in Via Sangallo, con Piero, davanti alla mia Moretto da Brescia 27, mi vedono stanco. Mi caricano in una macchina, dove mi addormento, la moto la guida Mario. Notte fonda, Paola, un campeggio. La fine, sarà alle Formicole di Tropea, campeggio aperto per il secondo anno.
Chicca fa da cassiera. Mettiamo quello che abbiamo nelle sue mani, così, una volta al giorno, si mangia qualcosa. Siamo politici, ma non lo esibiamo. Siamo in vacanza: maresolemusicagelatoballare. Anche a Capo Vaticano, cinque km sotto Tropea, erano in vacanza. Ma gli sparano addosso, a quelli del Manifesto. Manifestazione, uffa. Io non vado. Comunque aria insicura. Nella notte, partiamo per attraversare la Calabria, verso Crotone. Freddo, su è giù per i monti. Mario riprende la motorella, io il suo posto in macchina. Alba, quand'è Isola Capo Rizzuto. Piazza come Messico dei film, case bianche, basse, botteghe senza insegna, retino per mosche e zanzare. Vengono a trovarci, sulla spiaggia, dal paese. Due anni prima avevano fatto rivolta, incendiando il municipio. Portano pesce e vino.
Festa, la sera, con noi. Quelli della rivolta al nord.

*Foto particolare di un'opera di Leopoldo Cuspinera Madrigal, architetto e artista di Puebla, Messico. Esposizione ad Unìsono, Palazzo Guarnieri, Feltre, 10/25 settembre 2011.

sabato 10 settembre 2011

Cala il sipario. Comincia il riposo. Tra il 1979 e il 1982. Una volta, a spasso con Mauro Pagani, disoccupato PFM.

L'ultima serata, dell'ultima edizione 1976 di Parco Lambro, fu notte con la PFM, Premiata Forneria Marconi. Per pochi intimi e ultimi resistenti, suonarono sul palco centrale fino a quasi le tre. Il violino, magico, che ricordavo, era di Mauro Pagani. Pure la voce. Girando per Sant'Eustorgio e Ticinese, nelle sere estive, una volta feci una passeggiata, fino alle Scimmie di Sergio Israel, con Mauro. Per scoprire che era fuori dalla PFM, quasi disoccupato, anche se continuava a fare ricerca, arrangiamenti, composizioni. Senza di lui, la PFM per me non c'è più, nonostante il bel ricordo di Parco Lambro e dei tanti dischi di successo. Come per le Orme, senza Aldo Tagliapietra, autore voce e chitarra.
Mauro Pagani, ha dimostrato da subito, proprio in quegli anni, senza PFM, il suo valore di musicista. Non avremmo avuto, se no, concerti ed esibizioni pubbliche di un Fabrizio De André arrangiato grintosamente, etnico e progressivo.
Il 18 aprile 2010, siamo riusciti a fissare una tappa di tour a Feltre di Cristiano De André, a undici anni dalla scomparsa del padre. Purtroppo, Mauro Pagani, non era sul palco. Ottima esibizione di Cristiano, polistrumentista, autore e miglior interprete dell'eredità di famiglia. Cristiano, a cena, confermò l'apporto di Mauro Pagani, le sue innovazioni, la sua importanza. Nella sua serata, Cristiano, suonò anche il violino.
Quasi come Mauro.


*Le foto dei post recenti si riferiscono ad opere di Arte del Novecento, esposizione a Belluno.

Via Tibaldi, conclusione. Comincia Monza... Giugno 1971. Preso da un certo Mauro.

Via Tibaldi, dopo lo sgombero, apre alla concessione di case per gli occupanti. Seguiranno molte altre occupazioni, da Via Cilea, Via Bisceglie, Via...
Si organizza la manifestazione, quella di "Abbiamo vinto". Riunione alla casa dello Studente di Viale Romagna. Per i servizi d'ordine. In un centinaio, alle tre del pomeriggio, ci si accorda, tipo: testa al Collettivo Autonomo di Architettura, che tanto ha fatto per ospitare tutti; centro a Lotta Continua, coda a Lotta Comunista, di Ingegneria. Principio base: difesa e salvaguardia del corteo, dei manifestanti, e del suo proseguimento in caso di cariche. Niente simboli di organizzazione. Striscione unico di testa. Bandiere, una selva, anonime. Tutto bene. Sabato di sole. Tanta gente, si dice trentamila anche se non è vero, ma sembra vero.
Nei miei cordoni, per capire cos'era Lotta Continua, al mio fianco c'era un cane sciolto un po' anarchico, altri simili, io che non sapevo da dove venivo e dove andavo... Ma eravamo il Servizio d'Ordine di Lotta Continua. Misteri. Da allora, l'han cominciata a chiamare, Lotta Continua, spontaneista.
Seduto fuori di Architettura, più o meno in quei giorni, proprio per un'assemblea, sul marciapiede davanti all'ingresso, si avvicina una valchiria, minigonna estremista, di jeans. "Ciao", dice sedendosi al mio fianco sinistro, quello debole. Ha appena detto di essere di Monza, la tipa, che si avvicina uno con barba, sorridente e fa: "Ciao, mi chiamo Mauro..., e tu?" - "Lele", rispondo cortese... - "Lele... sei stato in Via Tibaldi.." - "Sì..." - "Ho una proposta da farti: A Monza, c'è un'occupazione, piccola, una sola famiglia, nel Centro Sociale Cantalupo. Verresti a darci una mano, stando là...". Il mio "sì" comportò il trasferimento immediato a Monza, brevissima conoscenza della Valchiria, troppo nervosa, e guardia al Centro Sociale Cantalupo.
Destino di famiglia, quello di fare la guardia; mio padre, dopo il periodo di fattorino in Ufficio Pubblicità della Carlo Erba, per guadagnare in più, accettò l'incarico di vigilanza diurna agli ingressi della sede di Via Imbonati.
L'invito di Mauro Rostagno, a Monza, mi fece conoscere, per qualche anno, come "Lele di Monza".

venerdì 9 settembre 2011

Nati divisi. Come si può pensare di vivere? Gennaio 1970, Milano, grande Manifestazione contro la Repressione.

Era fresca, la morte, di Giuseppe Pinelli e di tutte le vittime della Banca dell'Agricoltura. A gennaio, 1970, dalla Statale, grande manifestazione Contro la Repressione. Cinquantamila. Ma. Appare Avanguardia Operaia, scissione del Movimento Studentesco, che con Capanna resta in Statale e loro, a Città Studi, Scienze, Farmacia, e altro. Potere Operaio ha, dietro il grande striscione, cinquanta gatti. Lotta Continua, grande striscione, altri cinquanta. Altri cinquanta, penso che sia apparso lì il nuovo "logo", dietro, la mia, Sinistra Proletaria, ex Collettivo Politico Metropolitano. E via così. Tra UCML - ML - Quarta Internazionale, Quinta, Sesta e la Settima  di Beethoven... chi più ne ha, ne metta.
Che casino.
Certo, dimenticavo, gli Anarchici. Se sei anarchico, che cazzo vieni a fare, lì. Va' da solo, no? Vuoi finire come in Spagna?
Grande sfilata, grande orgoglio, padroni della città... Vinceremo... Guai a voi... Cambieremo il mondo...
Nati divisi, borghesucci e borghesi, dove pensavate di andare?
Ah, ceeerto: IBM, TELETTRA, RAI, MEDIASET, FIAT, MONTECATINI, ENI.......ROMA.
Il seggio al Parlamento, il posto in poltrona, la vita moderna, i danè, money, argent...
Guardatevi allo specchio, voi che non siete ancora morti: stiamo pagando i vostri errori. Di collaborazione, falso sindacato, falsa democrazia, falsa civiltà.
Moriremo, poveri di tutto, anche per colpa vostra, delle vostre arroganze arriviste, provocazioni esibizioniste, mode di merda.
Ah, ci fosse ancora uno, uno, come Leonardo Da Vinci, in quest'Italia che non spera perché non ha speranza. In quest'Italia rapace e incapace. In quest'Italia che... non...ha...ancora...voglia...di...conoscersi...e...riconoscersi.

Mettiamo Toto Cutugno, va', che in Francia, quando ci sono andato, lo cantavano dappertutto. E ce l'ha cantata anche Tricarico, che è più di là che di qua. E va bene, così.
L'Italiano

Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare sono un italiano Buongiorno Italia gli spaghetti al dente e un partigiano come Presidente con l'autoradio sempre nella mano destra e un canarino sopra la finestra Buongiorno Italia con i tuoi artisti con troppa America sui manifesti con le canzoni con amore con il cuore con piu' donne sempre meno suore Buongiorno Italia buongiorno Maria con gli occhi pieni di malinconia buongiorno Dio lo sai che ci sono anch'io Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare una canzone piano piano Lasciatemi cantare perche' ne sono fiero sono un italiano un italiano vero Buongiorno Italia che non si spaventa e con la crema da barba alla menta con un vestito gessato sul blu e la moviola la domenica in Tivu Buongiorno Italia col caffe' ristretto le calze nuove nel primo cassetto con la bandiera in tintoria e una 600 giu' di carrozzeria Buongiorno Italia buongiorno Maria con gli occhi pieni di malinconia buongiorno Dio lo sai che ci sono anch'io Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare una canzone piano piano Lasciatemi cantare perche' ne sono fiero sono un italiano un italiano vero. La la la la la la la la... Lasciatemi cantare con la chitarra in mano lasciatemi cantare una canzone piano piano Lasciatemi cantare perche' ne sono fiero sono un italiano un italiano vero
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giovedì 8 settembre 2011

L'Oreste (Scalzone), dappertutto.

Ovunque tu andassi, dal '70 in avanti, lo trovavi. Oreste Scalzone, dopo l'armadio di Roma che gli han buttato in testa, era a Milano in ogni sciopero, in ogni corteo, quasi in ogni assemblea. Era dappertutto. Col suo spolverino bianco sporco, un giorno, mentre con mamma Mina andiamo a trovare i parenti in Veneto, lo troviamo anche in Stazione Centrale. "Ciao", "Ciao, come stai? Ti presento mia madre. Gelsomina.". Cordiale, elegante, saluta ed è cortese, come sempre, gentile, si informa. In treno, mamma Mina chiede del mio amico. "È con te, in Lotta Continua?". "No", rispondo, "lui è di Potere Operaio". Difficile spiegare le differenze, prosegue il viaggio in treno... Forse è la volta che andiamo a trovare suo fratello, zio Aldo. L'ultimo minatore in vita dal Belgio. Che ha dovuto scappare dalla Falck, quando sono nato, nel '52, perché sindacalista della CGIL. E che in miniera ci è rimasto sotto. E ha ancora un budello d'argento. E non respira, per via della "pussiera", silicosi, polvere di carbone. E così si è comprato una vespa, verde, per girare. Ne è tutto contento. La tiene nell'ingresso della casa. A San Giovanni Ilarione. Ma l'han tirato sotto, un giorno. Morto sul colpo. A 52 anni. Dopo la Guerra, Partigiano, Operaio Falck, Minatore. Nemmeno la pensione, del Belgio, si è potuto godere. Gli altri suoi fratelli, miei zii minatori in Belgio, l'avevano preceduto. Chi a 40, chi a 44. Anni.
Quando ho superato i cinquantadue anni, quelli di mio zio Aldo Bado, mi son detto: vabbè, dovrai vivere ancora per un po'.

Via Tibaldi, la grande occupazione. Di guardia. Milano, giugno 1971.

Mac Mahon, prima occupazione di case a Milano, l'ho mancata. Perché ero in ospedale con le vertebre rotte. Ma quando apparve Via Tibaldi... Prendo la motorella e parto. Ormai, era solo Lotta Continua. il CPM, Collettivo Politico Metropolitano/Sinistra Proletaria/Nuova Resistenza, era un ricordo.
Arrivo, in quello che era un cantiere edile con le palazzine da terminare, e Luigi, appena sceso dalla motorella, mi dice: "Ho un compito per te: fai servizio d'ordine, guardia all'ingresso". Via Tibaldi era stata occupata perché IACP, case popolari, con attico assegnato al fratello del sindaco, Aniasi.
Gli occupanti, arrivavano da alcune fabbriche e quartieri della periferia, abitanti in case fatiscenti, inadeguate, tutti con figli, non solo meridionali. Come Piero, milanese, operaio alla Fargas di Bollate
Tolgo il casco, per fare la guardia, e Luigi mi dice "No, tienilo". Chiamalo casco... che al confronto dei marziani di oggi era un guscio d'uovo. Vabbé. Facciamo la guardia. "Ciao, Ciao", mi dicono tutti quelli che entrano, e che se non conosco chiedo chi sono e da dove vengono. Fanno foto, di me, col guscio d'uovo in testa, che poi risulteranno pubblicate su qualche quotidiano, settimanale, e via. Che ne so. Non ero lì per quello.
Passa il giorno, passa la notte, arriva l'alba. E io lì. A far la guardia. Mi muovo solo alle sei, per portare, in motorella, un transessuale a casa, che si è fermato, e gli piace la situazione e ok, ti accompagno a casa, ma non stringere troppo, però. Assenza di dieci minuti e sono di nuovo al mio posto. Nel tardo pomeriggio, passa Luigi, mi trova lì, dice come va?, rispondo tutto bene, vede che sono un po' stanco e scopre che non dormo dal giorno prima. "Va' a dormire, riposati...". Ok. Entro finalmente nella palazzina, e, trovo un pezzo di pavimento in parquet per sdraiarmi e dormire. Quando mi sveglio, sera/notte, a parte che stanno bruciando il parquet per scaldarsi, che Luigi si incazza perché è un danno... e il parquet in tek costa un sacco di soldi... e così hanno la scusa per chiamarci vandali... salta fuori che è imminente lo sgombero.
Attendiamo la celere dalla solita ora, le cinque del mattino, che arriva quasi alle sei, prime luci dell'alba. Per decisione, restano solo gli occupanti, ad attendere. Noi, una trentina, scavalchiamo il muro sul retro e camminiamo lungo la ferrovia, per disperderci, in piccoli gruppi, e ritrovarci successivamente nei dintorni di Via Tibaldi. Celere, che arriva da lontano, anche sulla ferrovia. Via, via...
Quanto si torna, dalle parti di Tibaldi, si fa solo in tempo a correre dietro ai pullman della Questura, che portano via gli occupanti. Per salutare. Cantare. Piangere. Ricordare.
Appuntamento, la sera, nel monastero di Corso Magenta, Museo Archeologico, dove hanno allestito per tutti dei letti di emergenza. E finalmente dormo.
Appuntamento, poi, in Architettura del Politecnico. Ospiti di Paolo Portoghesi, degli studenti, dell'università.
Abbiamo, già, vinto.
(Il quadro è di Vania, 2011, Feltre Mondiali di Bocce)

I capannelli di Piazza Duomo. Tutti, che sapevano tutto. E Piazza San Babila. Milano, 1969/1972.

Piazza Duomo, nel '69/70 e giù di lì, era luogo di discussione. Se volevi fare un comizio gratis, andavi in Piazza Duomo. Tra gli assidui frequentatori, in quell'inverno del '70, dopo la strage di Piazza Fontana, c'era anche Dario Fiore, sardo, biondo/albino, più tardi libero editore (Squi/libri?). Parlavi, parlavi, parlavi. Ognuno, alla fine, capiva se stesso. Ma c'era la piazza.
Per uscire, un giorno, da una situazione imbarazzante (ti spaccavano la testa, o ti accoltellavano), in mezzo a tre sanbabilini, inventai Piazzetta Pattari. "Io sono di San Babila", disse uno. "E io sono di Piazza Pattari", risposi. "E che è, Piazza Pattari?", "Ma come, non sai?, il nostro gruppo si riunisce lì.".
Salvo. E vabbè.
Non c'era, allora, particolare attenzione ai fascisti, neo e veteri. Disturbavano gli obiettivi principali. Punto e basta.
Però, una volta, per una manifestazione in Piazza Duomo, un nostro gruppo scese dalla metrò in San Babila.
Stress. Preso il lato sinistro di Vittorio Emanuele, verso Piazza Duomo, i "neri" di San Babila, pur impediti/controllati da una fila  di celerini, scavalcarono i militi e si scaraventarono su di noi.
Via di corsa....
Ma quelli che riuscirono ad avvicinarsi furono tenuti a bada anche dal "rosso", di capelli, operaio della Pirelli. (Nel tempo, incarcerato, come Brigate Rosse. Ah, sì, definito Colonnello. Tutti comandanti, senza esercito?) .

martedì 6 settembre 2011

E Capanna disse: Allitto, ci sono anche gli apprendisti. (Milano, 1° Maggio 1971).

Dopo il 1970, per forza, c'è il 1971. Cervicali deboli, per via della frattura, lunga convalescenza, mi iscrivo al CAPAC - Politecnico del Commercio, nome altisonante, di fianco a casa dei miei, in Viale Murillo. Sono i corsi, professionali, serali, della Regione Lombardia. E vado in "corrispondente in lingue estere", biennale. Una pizza. Di giorno, al Capac, si tengono i corsi per gli apprendisti, obbligatori, mezza giornata la settimana. Visto che di giorno non ho niente da fare, comincia l'intervento sugli apprendisti. Fondiamo il "Comitato Apprendisti". Riusciamo a farci dare un'aula, stabile, dove tutti possono consultarci e incontrarci (eravamo in democrazia). Passa gennaio, e arriva aprile. Che facciamo, apprendisti? Cerchiamo di farci vedere: manifestiamo. Ok. Per il Primo Maggio, Festa del Lavoro, presento in Questura la comunicazione di un corteo degli APPRENDISTI. Ma che? Chi sono? Chi siete?
Permesso negato.
Antonio Chiodo, di Baggio, papà CGIL, illuminato da Di Vittorio, fratello nel Movimento Studentesco (Antonio, negli Anni Ottanta fu segretario del sindacato camionisti), dice: "Andiamo da Mario".
Così, grazie ad Antonio, ci presentiamo in Interfacoltà della Statale, per essere ricevuti da Mario Capanna.
Ok. "Vai", dice Antonio. E io entro. "Cosa c'è?", dice Capanna. "Niente", riesco a parlare, "per la prima volta riusciamo a fare un corteo di apprendisti, per segnalare la loro condizione, ma la Questura ci ha negato il permesso e per noi è importante, sfilare da soli, il Primo Maggio, per confluire in Piazza Duomo".
Mario, prende il telefono: "Allitto?, ciao, sono Capanna. Qui ho gli apprendisti che devono fare un corteo, da soli, per arrivare con noi e i sindacati in Piazza Duomo, il Primo Maggio. Ma non hanno avuto il permesso. Ah, tutto bene? D'accordo. Ciao, Allitto".
Allitto Bonanno era Questore di Milano. Con la telefonata di Mario Capanna, gli apprendisti poterono dire la loro esistenza "Apprendistato uguale Sfruttamento". Sfilammo, in centocinquanta, da Piazzale Baracca a Piazza Duomo. Passando per San Vittore, unico corteo, autorizzato sotto il carcere, con fazzoletti e stracci colorati che sventolavano dalle finestre delle celle, per salutarci. Salutare il Primo Maggio, il lavoro, la democrazia, i giovani e i vecchi i liberi e i carcerati. Che avevano fatto e facevano l'Italia.
Vabbè. Mettiamo Una Notte in Italia, di Ivano Fossati, che, anche se è lunga, ci fa passare il tempo, e abitava in Via Villapizzone, davanti a casa mia, nel '75, in Console Marcello 1.
E' una notte
in Italia che vedi
questo taglio
di luna
freddo come una
lama qualunque
e grande come
la nostra fortuna
la fortuna
di vivere adesso
questo tempo
sbandato
questa notte
che corre
e il futuro
che arriva
chissa' se ha fiato
E' una notte
in Italia che vedi
questo darsi
da fare
questa musica
leggera
cosi' leggera
che ci fa sognare
questo vento
che sa di lontano
e che ci prende
la testa
il vino bevuto
e pagato da soli
alla nostra festa
E' una notte
in Italia
anche questa
in un parcheggio
in cima al mondo
io che cerco
di copiare l'amore
ma mi confondo
e mi confondono
piu' i suoi seni
puntati dritti
sul mio cuore
o saranno
le mie mani
che sanno cosi'
poco dell'amore
Ma tutto questo
e' gia' piu'
di tanto
piu' delle
terre sognate
piu' dei biglietti
senza ritorno
dati sempre alle
persone sbagliate
piu' delle idee
che vanno a morire
senza farti
un saluto
di una canzone
popolare
che in una notte
come questa
ti lascia muto
E' una notte
in Italia
se la vedi
da cosi' lontano
fra quella gente
cosi' diversa
in quelle notti
che non girano
mai piano
io qui ho un pallone
da toccare col piede
nel vento che
tocca il mare
e' tutta
musica leggera
ma come vedi
la dobbiamo cantare
e' tutta
musica leggera
ma la dobbiamo
imparare
E' una notte
in Italia che vedi
questo taglio
di luna
freddo come una
lama qualunque
e grande come
la nostra fortuna
che e' poi
la fortuna
di chi vive adesso
questo tempo
sbandato
questa notte
che corre
e il futuro
che viene
a darci fiato

I Festival di Re Nudo. (Andrea Valcarenghi e Mauro Rostagno). Ballabio 1971, Zerbo 1972, Alpe del Vicerè 1973.

Le due sedi, Re Nudo e Lotta Continua, erano quasi attaccate, vicine. Ma Andrea Valcarenghi, per vedere Mauro Rostagno, veniva a Monza, in Spalto Piodo. Arrivava, sempre di poche parole, dall'aria mite, con la sua barba e il borsello. Allora, ci trasferivamo al baretto d'angolo, a prendere un latte macchiato. Io, piccolo testimone, silenzioso, mi scaldavo col latte macchiato. Che, in moto, di freddo ne prendevo più che basta. Loro, parlavano. Mauro Rostagno era il centro e la sintesi. Con Andrea si accordarono sulla partecipazione di Lotta Continua ai Festival. Il nome, non mi piaceva, nemmeno allora: Festa del Proletariato Giovanile. Ma così era.
Sopra Ballabio, 1971. Riuscimmo ad andarci, come sede, solo una sera. Perché lavoravano tutti, i nostri, dalla Philips alla Bassetti, dall'Autobianchi alla Singer, alla Delchi, ecc. Poi, nel 1972, fu Zerbo, alla confluenza del Ticino nel Po. Magnifico luogo. In mutande, che tanto non avevo né soldi né costume. Perché non te le togli?, dice una. Perché mi vergogno, rispondo. C'erano Mauro e Chicca, a proteggermi. Ma la fame, la fame è il ricordo che conservo di Zerbo. Gruppi musicali gnè gnè... Fame. Al terzo giorno, riescono a recuperare un camion di alimenti. Solo yogurt. Alla banana. Non l'ho più mangiato per il resto della vita. Se volete farmi vomitare, datemi uno yogurt, alla banana.
Nel 1973, non so come, certo in licenza per un processo politico, riesco ad andare (mi portano) ad Alpe del Vicerè, verso il Resegone, penso. Freddo, musica scarsa, riportatemi a casa..., o in caserma.
Ho trovato, quest'anno 2011, un musicista ad Unìsono di Feltre che era stato ad Alpe del Vicerè. Forse, lo stesso, che vistomi infreddolito mi aveva offerto un goccio di vino. È stato più importante quest'incontro, che il ricordo del festival.
(Foto 2009, ndanet.it, Salone del Libro di Torino: Andrea Valcarenghi, a destra, con Guido Viale, a sinistra).

Insieme ai festival: i gorgheggi di Ivan Cattaneo dalla sede di Re Nudo. Milano, 1975.

Dalla sede di Via de Cristoforis a quella di Re Nudo, Via Maroncelli,  bastava un respiro. Mirrina, sul suo motorino, una sera mi ci porta. Il tragitto non lo ricordo, ricordo il suo culone. Entriamo in Via Maroncelli, si sale, grande sala, e sentiamo urletti e gorgheggi del neocantante Ivan Cattaneo. Dopo qualche decina di minuti, Ivan conclude la sua esibizione e, uscendo, felice e contento, si ferma a salutare Mirrina.
Nell'estate 2007, ho incontrato Ivan Cattaneo, spinto da Titti Monteleone, incubo militante della destra di Bari (che si presentava a scuola in tuta mimetica e basco nero, e i nostri non potevano far niente, che era donna), al Teatro Comunale di Belluno. Nel ristorante, prima del concerto, scoprimmo che quella della sede di Re Nudo, a Milano, fu la sua prima apparizione pubblica.

Parco Lambro 1976. Dei polli. La fine di un'epoca.

Più organizzato, rispetto al precedente. Capitalizzato è più remunerato, con stand per panini e bibite. Grandi cantanti. Grande palco. Riprese Rai. In centomila. Ecco, Parco Lambro 1976. Con Lucio, facciamo il lenzuolo "Proletari in Divisa", da mettere sulla tenda all'ingresso.  Dove arrivano i nostri delle caserme. "I Bufali", di Paolo, ci sono ancora. Da Lotta Continua, mi metto all' affettatrice per fare abbondanti panini. Il clima sembra buono. La musica, anche. Ma appare l'eroina... Teste fracassate. Quindicenni bucate da adulti assassini. Sarà l'ultima volta. Grande musica. Grande festa. Grande noia. I Ladri di polli, che saccheggiano un camion, dimostrano la loro/altrui follia. Tutto. Finisce. Qui. Poi, sarà mercato. Ma noi non ci saremo...noi non ci saremo.
Ciao, Italia. Viva l'Italia.
E mettiamoci De Gregori.

Viva l'Italia, l'Italia liberata,
l'Italia del valzer, l'Italia del caffè.
L'Italia derubata e colpita al cuore,
viva l'Italia, l'Italia che non muore.
Viva l'Italia, presa a tradimento,
l'Italia assassinata dai giornali e dal cemento,
l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura,
viva l'Italia, l'Italia che non ha paura.
Viva l'Italia, l'Italia che è in mezzo al mare,
l'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare,
l'Italia metà giardino e metà galera,
viva l'Italia, l'Italia tutta intera.
Viva l'Italia, l'Italia che lavora,
l'Italia che si dispera, l'Italia che si innamora,
l'Italia metà dovere e metà fortuna,
viva l'Italia, l'Italia sulla luna.
Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre,
l'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre,
l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste,
viva l'Italia, l'Italia che resiste. 

Parco Lambro. Dei bufali. 1975. Milano.

Nel 1975, col tempo parleremo dei precedenti e del successivo, di Andrea Valcarenghi e di Re Nudo, c'è la Festa di Parco Lambro. Dove c'era la sede di Via Spallanzani, Porta Venezia, ma in una stanzetta del secondo piano, Paolo Hutter, non sazio per essere stato nello stadio di Santiago del Cile nel 1973, scrive "I BUFALI", quotidiano creato appositamente. Io, scrivo dei militari, giovani in divisa, che arriveranno ai concerti. Tutto va bene. Il giornale viene distribuito. Arrivano i gruppi a suonare. La gente, di sera, arriva a decine di migliaia. Nessun incidente. Salvo, i bufali.
Non era ancora niente.

Parco Lambro. Dei pesci.

Si va a scuola, oggi. Tiepolo di Piazza Ascoli, medie inferiori. Piove. La prima a sinistra, da Via Moretto 27, è Via Saldini. ...Si gira. Niente scuola, oggi. Bicicletta.
Scavalco il cancello dei Missionari Comboniani, prendo la solita sportiva - tre cambi, manubrio dritto, specchietto - e parto.
Bella, la pioggia. Bella la bicicletta. Piove. Acqua da tutte le parti. Dove si va? Parco Lambro.
Pedala, supera Ortica, pedala, e gira di qui, e gira di là, arrivi a Parco Lambro.
Zuppo, bagnato come un pesce, con la bicicletta, arrivo al laghetto.
Ci sono tre pescatori, che mi salutano. Parliamo un attimo. E mi regalano i pesciolini che hanno pescato, vivi, alborelle e via così...
Torno a casa, dopo aver riportato la bici dai Comboniani, con i pesciolini.
Mamma Mina mi vede zuppo, felice, con i pesciolini. "Mettiamoli in vasca"... dice. Quando arriva papà Giulio, dalla Carlo Erba, la sera, ce li mangiamo.
Per un giorno, a dodici anni, son stato un eroe.
(Non ho le foto, questa è del Lago di Corlo, Arsiè, Belluno)  

Gilera 124 5 V. Ad Architettura se la sono presa anche con lei. (1971, Dopo Via Tibaldi).

Finito tutto, cariche, lacrimogeni, fermi (per fortuna che abbiamo un collegio legale con avvocati che ci difendono gratuitamente), TORNO, il giorno dopo,  ingenuo ingenuo, a cercare la moto (motorella arriva dal piccolo Francesco, otto anni oggi).
Architettura ha un presidio di Polizia. Dentro, nessuno. Entro, e trovo sotto il porticato, a destra dello scivolo dove l'avevo lasciata, la motorella. Faro rotto, ammaccata, brutta. Esco e vado dall'ufficiale della Celere: "La moto è distrutta...", dico. "Cosa vuole, saranno stati gli occupanti...", risponde.
Già, ma l'occupante ero io. Sta' a vedere che mi distruggo la moto da solo. Che non bastava pensare alla gamba...
Vabbè.
La motorella, riparte. Da Architettura in Statale. Arrivo in Piazza Santo Stefano che salta il freno....
Gli occupanti avevano sabotato anche quello.
Povera Gilera 124 5 V. Un anno da garzone di droghiere per comprarla. Un giorno della Milano da niente per distruggerla.
(Per rubarla hanno aspettato il Convegno di Rimini, il primo).

Effetto di un lacrimogeno. (Occupazione Via Tibaldi, due, Milano, 1971). Grazie, Paolo Portoghesi.

Il lancio di un lacrimogeno, può portare, come si sa, alla morte. Vedi Saverio Saltarelli. Se ti prende in viso, sei spacciato, deformato per la vita. Tra le mie immense fortune, salvo il viso, il lacrimogeno, l'ho preso solo una volta. Sulla gamba. Sinistra.
Architettura di Milano. Dopo l'occupazione di Via Tibaldi. Di cui parlerò. Siamo ospiti di Paolo Portoghesi, magnifico preside di Facoltà. Notte insonne, con racconti, interventi, narrazioni. Per essere portati via, pacificamente, dalla polizia, al primo mattino. Centocinquanta fermati, identificati, nelle celle della Questura, fortunatamente piano terra, ala sinistra del cortile, e non al quarto piano come Pinelli.
Rioccupiamo, Architettura. Giugno 1971. Sera, attendiamo la Celere. Per dimostrazione, dobbiamo opporre resistenza. Come gli arcieri, organizziamo file che lanciano sassi. Avanti una, lancio, dietro, avanti l'altra, lancio, dietro e via così, con i lampioni oscurati da dardi. Gli agenti, sparano. Ad alzo zero. Lo scivolo d'ingresso ad Architettura diventa nuvola. Una staffilata alla gamba. Luigi..., mi hanno preso... ce la fai a camminare?... no. Appoggiato al muro, per un po', ...
La via d'uscita, quella di Ignazio Silone, di sicurezza, era già pronta. Controllo..., la gamba è a posto, gli stivali della motorella, che avevo sotto i pantaloni, mi hanno salvato. Resta solo un segno, quasi un buco, sulla pelle dello stivale, e dopo mezz'ora tutto passa.
Ho ancora la gamba.
Fuori da Architettura è un inferno. Macchine rovesciate. Piazza Leonardo da Vinci, Città Studi. Ancora lacrimogeni. Caccia all'occupante. Ma sono salvo. In gamba.

Cesare Battisti. Chi è costui? Torna in Italia, va'.

Alla fine, odierna, a reggere la scena mediatica demenziale, insieme a tanti altri, è tal Cesare Battisti. Chi è costui? Mah. Che il Brasile lo difenda, ok. La Francia, dopo il 1789, ha ancora qualcosa da dire, ok. Ma l'Italia? Che non abbia niente da dire? Oltre che da fare?
Cesare, torna. Fa' come tanti: racconta, dimostra, chiarisci. Finiamola con quelli che han parlato di quello che non c'era: rivoluzione, anni di piombo... Anni di merda, anni...
Prima di morire, diciamo le cose come stavano, e come stanno.
Tanto, si muore una volta sola. Come si vive...1 v s...

sabato 3 settembre 2011

Intermezzo: Anni di Piombo? Ma smettiamola. Anni di Merda.

Stragi, strategia del terrore, tentativi di golpe e colpi di stato, manifestazioni di piazza represse con violenza e morti. Dal 1969 al 1975. Ma cosa passa, per i più, nei salottini, nel chiacchericcio portinaio? GLI ANNI DI PIOMBO (1977 e dopo). Yeah... Facciamo trasmissioni, film, documentari, sui quattro gatti che hanno aiutato l'immagine di un' Italia senza pensiero, senza rivoluzione. Ora, ci fermiamo, affermando che, la rivoluzione, restando alla recita di un film, "Giù la testa",  non è un pranzo di gala. Non è fatta da quattro gatti. Da quattro cani. Da quattro iene. Né da leoni, tigri, pantere.
Stanchezza, infinita, dice: ripristiniamo la verità.
Volontà, di futuro, dice: coi piedi per terra, riprendiamo a camminare. Costruiamo ponti, per attraversare, comunicare, incontrare.

12 dicembre 1970. Muore Saverio Saltarelli. Milano, Università Statale.

Che vuoi fare? Dopo Città della Pieve, morta nonna Margherita, sono a casa, a Milano. Per due mesi, porto un collarino, per via della frattura alla 4a e 5a vertebra cervicale. Ma non riesco a star fermo. In una Milano in movimento. È il 12 dicembre, primo anno dalla Strage di Stato. Il Collettivo Politico Metropolitano (CPM, già iniziavano le sigle), era sparito da Via Curtatone 12. Da cane sciolto, decido di andare in Statale, dove è annunciato un presidio (Via Festa del Perdono, Piazza Santo Stefano, Via Larga). Si scatena l'inferno. Ragazze e ragazzi che da Via Larga scappano, verso l'università. Lacrimogeni. Spari. "Calma, calma.", dico, a tutti, col mio collarino, cercando di non essere urtato, che se no mi cade la testa, date le vertebre malmesse. Che vuoi fare? L'unica cosa utile, è entrare in Statale, andare in infermeria, ricavata nel sotterraneo, e vedere se si può dare una mano. I ragazzi della Facoltà di Medicina arrancano, i camici sporchi di sangue, da Via Larga continuano ad arrivare feriti. "Non abbiamo aghi, per cucire, dobbiamo arrangiarci...", dice uno, mentre rattoppa uno squarcio in bocca ad un ferito... Lo dice a me che, forse, col collarino, visto che non posso far niente, assumo qualche autorità... "E lui?..." dico, guardando il ragazzo con la barba, steso sul pavimento "...non ha ferite...". "Non ce la fa..., ha preso un candelotto al cuore, stiamo aspettando le ambulanze...", mi risponde, lo studente di Medicina. Allora, col mio collarino, divento vigile urbano: "largo, largo", grido mentre corro nel corridoio della Statale. È arrivata un'ambulanza. "Largo, largo..." e i ragazzi, dietro me, portano fuori il corpo di Saverio Saltarelli, verso l'ambulanza. Ma era già morto.
Poi, si seppe, che polizia e carabinieri spararono ad altezza d'uomo. Non solo lacrimogeni. Spararono. I fori dei proiettili, nelle vetrine di Via Larga, vennero fotografati...
Poi, si seppe, ad un anno dalla strage di Piazza Fontana, che un altro morto, Saverio Saltarelli, doveva aggiungersi alla lista.

1970. Come rompersi l'osso del collo. Salvarsi da un futuro di incerto terrore. Con il sacrificio di nonna Margherita.

Sulla motorella, com'altro chiamare una Gilera 124 5v, il 1 agosto del 1970 decido di andare sul Ticino. Che è lì a due passi, da Milano. Altrimenti, Leonardo da Vinci, come avrebbe potuto fare i Navigli? Ma, al ritorno, resto senza benzina, in Via Novara, Quinto Romano, all'altezza, destra, di Baggio. Spingo la motorella con un piede quando, un'auto, targata Roma, mi supera, mette la freccia a sinistra, e invece gira a destra. Buttandomi giù. Rinvengo, con uno strano torcicollo. Mi accompagnano sui gradini, di una casa, all'ombra, e il torcicollo non passa. Arriva l'ambulanza, salgo, ho male al collo, dico, e l'infermiere mi fa sedere sul seggiolino. Per fortuna il San Carlo è vicino. Al pronto soccorso, subito, i medici dicono "frattura cervicale, prognosi riservata, rischio paralisi,  in reparto ortopedia traumatologia.". "Ma come?", dico, "devo partire domani per le ferie...".  Un mese in trazione, steso, pesi al collo, piaghe da decubito. Imbecilli che mostrano il pisello visto che non posso muovermi, infermiere che mostrano il paradiso... visto che non posso muovermi... la "fidanzata", quella delle ferie, che viene a trovarmi in minigonna, visto che non posso muovermi.
Ne ho diciassette, di anni, i diciotto partono il 9 novembre.
Si scopre che Boniardi, macchine lavorazione oro, Via Valpetrosa 5/Via Torino, dove lavoravo come "impiegato", non ha mai pagato un cazzo, per me, e viene multato. L'ospedale, lo paga la Regione.
Da Città della Pieve arriva nonna Margherita (Cupella). Non si era mai mossa da là. Affronta il viaggio in treno. Arriva a Milano. Va all'ospedale San Carlo a trovare il nipote. Fa un voto: "Signore, prendi me e salva lui.".
Il Signore l'ha presa in parola... Mentre, dopo un mese, mi alzavano dal letto per mettermi il Minerva, un busto di gesso dalle anche alla testa, non ti crolla il soffitto del Teatro degli Avvaloranti, a Città della Pieve?
I custodi/bigliettai del teatro, usato come cinema, erano proprio mia nonna, Margherita, mio nonno, Antonio, e mio zio, Pietro. Loro due sbalzati fuori, dallo spostamento d'aria. Mia nonna, già al centro della sala per le pulizie, (la sera prima c'era il pieno per un film), resta sotto i detriti. Paralizzata. Piaghe da decubito. Morta, dopo un mese.
Con Margherita Cupella andavamo alla fonte, a lavare i panni. Era una delle ultime donne capaci, con un asciugamano attorcigliato in testa, di portare mastelli dai dieci/venti chili, ritta, maestosa. C'erano, allora, ancora le chianine, vacche bianche, alte, col fiocco rosso, sul muso, il carretto a due ruote.
Nonna Margherita aveva Valentina, maestra, come sorella. Ma lei era maestra di vita. E quando portava i pesi in testa superava Valentina di trenta centimetri.
Margherita Cupella, morta sotto il Teatro degli Avvaloranti, per un voto, mi ha salvato la vita.
Mentre ero in ospedale e in Minerva ci sono stati due fatti ai quali non ho potuto partecipare: il concerto dei Rolling Stones, con scontri, al Palalido, e la prima occupazione di case, a Milano, in Via Mac Mahon, fatta da Collettivo Politico Metropolitano (Renato Curcio) e Lotta Continua (Mauro Rostagno).
Teatro degli Avvaloranti, oggi, Città della Pieve (PG).