Benvenuti nel mio blog personale. Buon 2012.

venerdì 7 ottobre 2011

L'ultimo golpe. Gennaio 1974. Clandestini e in allarme. Dopo sarà peggio.

Il rientro nella società civile, dopo quindici mesi di militare, dicembre 1973, non è semplice. Prima, servono i denti, che sotto naja puoi togliere ma non curare, se non a tue spese. Con la dentatura rimessa a posto, i soldi erano di papà e mamma, posso rientrare nel mondo. Ripartiamo, per decisione comune in De Cristoforis, da Monza. Gennaio 1974 non ha cambiato, apparentemente, granché, da gennaio 1972. Nel senso dei tentativi di golpe e colpi di stato, di pronunciamenti militari e via così. Sull'organizzazione, molto è cambiato, ma è ancora presto per scoprirlo. Alla fine di gennaio, 1974, mi ritrovo militare. Perché, stanotte, ci sarà un colpo di stato...
Via, per la Brianza, ad organizzare basi e punti. Allestiamo in una cascina di Agrate, vicino alla Star,  l'informazione, con il ciclostile, un unico responsabile. Per non dare nell'occhio. Primo appuntamento, la mattina successiva, per istruzioni, alle ore 8.00, in Piazzale Loreto. (Che se per caso fosse successo, il golpe, mi arrestavano appena arrivato, in Piazzale Loreto...). E, per finire, grande paura. Rientrata. Perché del golpe, frutto di menti malate di quattro militari deviati, Rosa dei Venti, non se ne fece niente. Ma solo perché l'Italia era ancora Italia. E non accettava casini del genere. Quella notte, degli allarmi del gennaio 1974, divenne la notte del milione di italiani, militanti politici, pronti ad opporsi all'ultimo rigurgito golpista. Per la democrazia. Semplice, semplice.

giovedì 6 ottobre 2011

Cerchi lavoro? Ma non sei terrone. Che vuoi fare all'Innocenti, tu, di Milano? (1974)

Abituato ai jeans, a uno spolverino, a una camicia, è difficile presentarsi per cercar lavoro. Trovo pantaloni, normali, maglione della nonna, cappotto, e mi presento all'Innocenti di Lambrate. Ho bisogno di lavorare. Ho bisogno di un lavoro. Militare finito. Di politica non si campa. Visita medica, prelievi, sano, giovane, tutto ok. Penso di essere nel 1974, con la fabbrica che assume, per le macchine, la Austin, la Mini, De Tomaso, chi se ne ricorda...? Tutto bene, visite superate, idoneo, mi portano in reparto, presse, mostrano come escono gli stampi, come fare attenzione, mi presentano ai futuri, colleghi, operai. Che guardano, curiosi, me, ragazzo, di 22 anni. Passa una settimana, niente. Passa un'altra settimana, chiamo in fabbrica, e mi dicono che devo avere ancora un incontro con lo psicologo... Vado dallo psicologo, mi guarda, mi chiede "Ma perché, lei, che non è meridionale, che è di Milano, vuole venire a lavorare all'Innocenti, alle presse...?". Rispondo: "Perché ho bisogno di lavorare, sono senza lavoro...".
Non mi hanno preso, nel reparto presse, dello stabilimento Innocenti di Lambrate. Forse, mi è andata bene, mi sono salvato da un futuro di operaio pressato e stressato. Ma siccome non l'ho deciso io, stronzo lo psicologo, stronzo De Tomaso, stronza l'Innocenti. Che, dopo, ha chiuso. Fine, indegna, ma già segnata, di una fabbrica storica, milanese.
* il cancello (foto) è mio, dove abito, a Feltre, diverso da quello dell'Innocenti.  

mercoledì 5 ottobre 2011

Datemi un salotto. Che ci vomito. (Dada Maino, della mia grande vergogna.1972.)

Mauro, Rostagno, nella primavera 1972 mi dice, a Monza,: "Guarda che arriverà un'artista, che vuole vedere le fabbriche, il lavoro politico, seguila tu.". E come? In motorella? Dove la porto? Insomma, arriva Dada Maino, artista, pittrice. Per fortuna, tutto si risolve con qualche partecipazione alle riunioni in sede, in Via Spalto Piodo a Monza, e,  forse, con una presenza davanti alla mensa Philips. Una sera, per finire, invito a casa di Dada, villetta vicino Viale Zara, Piazzale Lagosta. Penso io, Non portatemi nei salotti... Sono troppo abituato a stare coi piedi per terra... Già il teatro di Dario Fo, alla Comune, mi sembra lontano dal quotidiano... Insomma... Infine... andiamo, con Monza, a casa di Dada. Lei mi porta nel seminterrato, dove disegna, dipinge, figure certosine, puntuali, linee rette e punti che, insieme, danno la dimensione della sua arte. Fin qui, tutto bene, io gentile, attento, cortese. Poi, sopra, nel salotto, mi fanno bere, bevo, vinaccio da bottiglione... A un certo punto, nel salotto, gli occhi mi vanno di traverso... attenti... sto male... Aldo e Cosimo fanno "Noo, aspetta....". Ma io esplodo, come un pozzo petrolifero, e invado tutto quello che mi si presenta di fronte... Ricordo, una dozzina, impegnati a pulire, lo schifo. Qualcuno mi accompagna in bagno, anche se non serve più... Una vergogna così, non l'ho mai più provata.
Quando Milano, a Dada Maino, ha dedicato una mostra, non sono andato. Avevo, nel cuore, ancora quella vergogna.
Oggi, Dada, non c'è più. E anch'io, in parte, manco.

Al "Bianco e Nero". In cerca di lavoro, Corso Venezia/San Babila, Milano 1975.

Fame chiede lavoro. Primavera 1975 decide, per un posto, qualsiasi. Milano, allora, poteva permetterti di lavorare, da un giorno all'altro. Vado, da annuncio, al Bianco e Nero, Corso Venezia, quasi San Babila. Abituato a correre, a non mangiare, a non dormire. Perfetto. Centosessantamilalirealmese. Ok. Facciamo centottanta? Il boss negozio, "Io sono del MSI", prende le mie parti, perché non sa... chi sono. Arriva il Big Stilista Bianco e Nero. "Il ragazzo", dice il boss MSI, chiede centottanta. Il Big Stilista, impomatato, incremato, impostato, incerato, dice... "Se garantisci Tu..., Sì".
Io dico: no. Tre giorni, al Bianco e Nero, mi sono bastati. Perché siamo infinitamente lontani dall'umanità e dalla creatività di Lyda Toppo, dalla semplicità, dalle ragazze che creavano collane, anelli, bracciali, mostrando il meglio di se stesse, mentre lavoravano... Coppola e Toppo, di Via Manzoni e Viale Majno.  Era amore, era sessualità espressa. Era vita. Il Bianco e Nero era, semplice, commercio... la stoffa, particolare, il jeans particolare, la minchia, particolare...
Claudio, controllando e passando, mentre lavoravo al Bianco e Nero, disse, "Vieni via, scrivi per il settimanale ABC, da casa mia.". Milano, primavera 1975, quando i giorni, ancora, duravano mesi.
* Le schifezze di ortensie in giardino sono mie, ma le metto perché non sono Bianco e Nero. 
(Ho anche qualcosa di "bianco e nero").  

Facciamola finita. Pezzi di merda. Feltrinelli, Giangiacomo, da Feltre. Marzo 1972.

Mentre nel 1973 c'è l'oasi del militare, Aviano, Maniago, meningiti, morti. violenze, allarmi, illibertà, nel quotidiano 1972, a pochi giorni dall'11 marzo delle manifestazioni, esplode, su un traliccio di Segrate, l'editore Giangiacomo Feltrinelli. Ma chi ci crede? Certo, Feltrinelli è di sinistra, dei GAP, pensa come tutti alla possibilità di colpi di stato, di golpe. Perché ci sono. Ricco, da salotto, viaggia in camper con trecento milioni in contanti. Mai più ritrovati. Da altre parti, con centomila lire ti facevano secco. Vuoi perdere l'occasione... di un traliccio... a Segrate? Pezzi di merda. Pezzi di merda. Pezzi di merda. Avete ucciso, per potere. Per denaro. Per pensiero infernale, antidemocratico. Avete ucciso, chi potevate, chi ricco ma debole, per uccidere tutta l'Italia, gli Italiani, la libertà, la lotta, l'universo sognante, visibile e invisibile... Avete ucciso.
Caso vuole, mentre scrivo, da Feltre, che i Feltrinelli fossero di Feltre, poi a Bergamo, siamo nella Serenissima, poi a Milano.
Ho incontrato Carlo, il figlio, per caso, quando facevo Il Giro del Mondo in Settanta Giorni, al Cinema Paris di Milano, Moscova/Garibaldi.
Un saluto. Perché di più non faccio.
Ma: non fatemi digerire la morte di Giangiacomo Feltrinelli, da Feltre/Bergamo/Milano, come terrorista. Perché sareste pezzi di merda come i suoi assassini.
* La foto è de "L'albero Incantato", sesta edizione, 2011, Piazza Maggiore, Bonsai Club Feltre.