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mercoledì 5 ottobre 2011

Datemi un salotto. Che ci vomito. (Dada Maino, della mia grande vergogna.1972.)

Mauro, Rostagno, nella primavera 1972 mi dice, a Monza,: "Guarda che arriverà un'artista, che vuole vedere le fabbriche, il lavoro politico, seguila tu.". E come? In motorella? Dove la porto? Insomma, arriva Dada Maino, artista, pittrice. Per fortuna, tutto si risolve con qualche partecipazione alle riunioni in sede, in Via Spalto Piodo a Monza, e,  forse, con una presenza davanti alla mensa Philips. Una sera, per finire, invito a casa di Dada, villetta vicino Viale Zara, Piazzale Lagosta. Penso io, Non portatemi nei salotti... Sono troppo abituato a stare coi piedi per terra... Già il teatro di Dario Fo, alla Comune, mi sembra lontano dal quotidiano... Insomma... Infine... andiamo, con Monza, a casa di Dada. Lei mi porta nel seminterrato, dove disegna, dipinge, figure certosine, puntuali, linee rette e punti che, insieme, danno la dimensione della sua arte. Fin qui, tutto bene, io gentile, attento, cortese. Poi, sopra, nel salotto, mi fanno bere, bevo, vinaccio da bottiglione... A un certo punto, nel salotto, gli occhi mi vanno di traverso... attenti... sto male... Aldo e Cosimo fanno "Noo, aspetta....". Ma io esplodo, come un pozzo petrolifero, e invado tutto quello che mi si presenta di fronte... Ricordo, una dozzina, impegnati a pulire, lo schifo. Qualcuno mi accompagna in bagno, anche se non serve più... Una vergogna così, non l'ho mai più provata.
Quando Milano, a Dada Maino, ha dedicato una mostra, non sono andato. Avevo, nel cuore, ancora quella vergogna.
Oggi, Dada, non c'è più. E anch'io, in parte, manco.

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