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martedì 20 settembre 2011

Maniago. Dove il vento si taglia col coltello. (Naja, 1973)

Maniago, Pordenone. Prima c'è Nuovo Vajont. Villaggio, che è già un saluto. Da Barcis, dal lago e dalla valle del Cellina, tira un vento che ti stira. A Maniago fanno coltelli. Oggi, come allora. Averne uno, quando giri l'angolo della palazzina, in caserma, servirebbe per tagliare il gelo di un inverno da dimenticare. Genieri, in un piano, Trasmettitori, sopra. Sanità, nella seconda palazzina. Tutti, serviamo, il battaglione d'artiglieria. Tra l'uno e l'altro, siamo quasi tremila. Il paese è vicino, un paio di km. Non è come Aviano. Il Friuli delle trattorie, servitù militari italiane, è gestito da famiglie, papà, mamma, figlio, figlia. Più umano. Quasi ogni giorno mi chiamano all'altoparlante, ..." il geniere taborgna..." convocato da questo, da quello, dal Capitano della Compagnia. L'enfasi pseudogolpista prevede, solo nella mia Compagnia, decine di Lotta Continua. Uno ha fatto uno sciopero a scuola. L'altro, arriva da Torino. E tanto basta. Un altro, da Savona. Due-tre da Milano. L'ipotesi sovversiva, utile per altri scopi, deve, per esagerare, dare importanza a ragazzi ventenni. Passano i giorni, passa la naja. Dopo cinque mesi, da quando son partito per Palermo, non ho ancora avuto una licenza. Le avrò solo per processi politici. L'avrò, quando passerà la marcia antimilitarista di Pannella e dei Radicali, che aveva l'adesione di Lotta Continua. Allora, mi mandano a Milano. Ma io parto, timbro la licenza, riprendo il treno, torno. Sarò alle tappe di Aviano e Pordenone. In borghese. Un amico di Fucecchio, della Baldassarre, mi lascia le chiavi della moto, Gilera 150, parcheggiata davanti alla caserma. Con quella, e con una ragazza bionda, prestata per confondere e confondermi, sarò ad Aviano. Poi a Pordenone, dove Marco Pannella si sdraia davanti alla Caserma Fiore. Torno a Milano. Riparto per Maniago. Dove un tenente firmaiolo, stronzo, dice: "Ti ho visto in moto con una bella bionda...". "Non ero io, Signor Tenente. Io ero a Milano, in licenza". Sai com'è, si rischiava Peschiera...
Le riunioni, tra militari, le facevamo in parrocchia. Anzi, un paio, in una chiesetta sopra il centro di Maniago. Il capitano Mario Branca, di Palermo, alto e grosso, aveva il suo daffare con un napoletano, alto e grosso, che di naja non voleva saperne e scappava, verso l'uscita della caserma, ad ogni adunata del mattino. E lui, il capitano, dietro, a rincorrerlo. È andata così, per qualche mese. Il napoletano alto e grosso, che scappava, dormiva sopra di me, nella branda a castello. Non mi ha mai dato fastidio, nonostante il peso.
Maniago scorreva, mese dopo mese. Con i giornali, acquistati nell'edicola della piazza, si sapeva del mondo. Campo ad Asiago, sull'altopiano, ghiaccio e freddo, stress, sporco, richiesta/protesta per doccia, trasferimento a Motta di Livenza per lavarci. Campo a Lignano, stress, ponte sul Tagliamento, radio che non funziona, rischio denuncia per difesa siculo ubriaco/malato, Capitano Branca che non molla, mi vuole sempre al suo fianco, mi incarica di suonare la sirena del rancio, delle adunate, delle stronzate... 2 giugno, rose rosse, capitano in ginocchio "Che ho famiglia, tu mi rovini..." io sull'attenti, nel suo ufficio, "Capitano, che fa, si alzi...".
Pur di tenermi lontano dalla caserma, sotto controllo, mi porta con un M113 in mezzo a un campo, tutto il giorno, a far niente. Riuscirà, comunque, a darmi dieci giorni di CPR, non si sa perché. La sua umanità, decide, per il congedo, con me. Va nel Genio Civile. Dopo il trasferimento dei tre Colonnelli comandanti, sembra la strada giusta. Io, resto in caserma, ultimo del mio contingente, a scontare la punizione. Un sottotenente, allenta di qualche giorno, la mia condanna. Mi libera, quasi a Natale, 1973. Torno a Milano. La naja è finita.

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